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19 dic 2016

La matassa della politica

di Luciano Caveri

E' ormai appurato che la politica, se concepita come rissa continua, può causare un effetto di rigetto in un parte dei cittadini. Così avviene per i giornali che crollano nelle vendite quando non sono più considerati ancorati alla realtà. In questo solco, mi spiace per certi commentatori adepti del "sì", i cui editoriali mi sono venuti a noia e penso non solo a me. Appartengono perlopiù alla genia dei "sessantottini", che resteranno nella storia per avere tentato la rivoluzione per poi morire conservatori. Osservo come tengano caldo ancora con articolesse pensose o rubriche graffianti a distanza di una settimana dalla vittoria del "no" al referendum sulla riforma costituzionale, continuando a fare i profeti di sventura, senza incassare e metabolizzare realmente il risultato come tale.

In politica non c'e niente di peggio di non essere realisti, criticando all'infinito l'esito del voto popolare, facendo in controluce balenare l'idea - élitaria e giacobina - di un "popolo bue" che va bene come tale sino a quando segue la strada tracciata, ma se non lo fa dimostrerebbe per certi maîtres à penser tutta la sua stupidità. Un concetto di "democrazia on/off" che la dice lunga su certi danni di visioni culturali comunisteggianti da "gauche caviar", come dicono i francesi di certa sinistra che avrà pure avuto il merito di incidere su mentalità retrive ma poi si è accomodata al tavolo del potere senza troppi scrupoli di coscienza. E con lo snobismo persino violento di credere di aver sempre ragione. L'acqua calda più volte riscaldata è nella teoria secondo la quale il fronte del "no" è, come sfortunatamente definita da Matteo Renzi, «un'accozzaglia» e forse il fu Premier penserà a questa sua gaffe, ora che descrive il suo ritorno a casa con prosa deamicisiana con la penna tenera, dopo aver abusato della sua lingua affilata in una campagna elettorale sfrontata e personalistica. Che i fronti contrapposti - se tanto mi dà tanto - fossero una congerie di tante diversità valeva anche per il fronte del "sì", che solo qualche mente obnubilata può ora ascrivere ad uno zoccolo duro di voti fatto di soli renziani di ferro. Allora: io ho votato "no", con motivazioni di un autonomista valdostano, e non certo con l'ottica "grillina", leghista o di certe frange di sinistra antisistema e neppure con quella dei costituzionalisti che, con motivazioni giuridiche, volevano impallinare le Speciali. Tutto questo per dire che è esistita, contro una cattiva riforma, una comunità d'intenti, che non voleva e non poteva affatto immaginare una nuova maggioranza di Governo. Se quella non c'è, questo è dovuto alle leggi elettorali vigenti ed alla liquidazione dei partiti e certo è difficile assolvere qualcuno. Per capirci: andare e venire al governo è una pratica che la Lega conosce bene per averla praticata, mentre i "Cinque Stelle" non vogliono coalizioni ma agognano ad un'inquietante maggioranza assoluta. E dunque? Si naviga a vista e spero almeno che il nuovo presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che conosco bene (nel '68 aveva quattordici anni...) e di cui apprezzo l'equilibrio, sappia trovare un momento di tranquillità per permettere di andare alle urne con le nuove regole, senza avere l'affanno di farlo perché in molti si sentono già vincitori e sono pronti a tutto per questo risultato, come dei pirati arrembanti con il rischio di assaltare un vascello fantasma ormai vuoto. Che sia chiaro come non creda che le elezioni anticipate siano il male assoluto: potrebbero essere un'opzione anche in Valle d'Aosta, vista la situazione a "fine corsa" della Giunta Rollandin. Forse lo si sarebbe dovuto fare subito sin dal primigenio "18 a 17" in Consiglio, quando questa maggioranza risicata la decisero gli elettori anche a causa di qualche bug nella legge regionale su cui bisognerebbe riflettere e non a fine Legislatura, perché le regole non si cambiano a tempo quasi scaduto. Ciò detto l'esito elettorale dovrebbe essere sempre il Vangelo, specie quando basato su coalizioni e accordi preventivi. Invece spesso le pedine si muovono altrimenti, come se ci fossero per gli eletti delle cambiali firmate in bianco e le loro decisioni potessero seguire le circostanze in barba alla parola data. Diventa di conseguenza ambiguo far finta che certe scelte contraddittorie siano avvenute coram populo, mentre sono sono state approvate in realtà dagli ormai pochi iscritti a partiti e movimenti. Insomma molte cose si muovono, difficile capire dove si arriverà, ma pestare acqua nel mortaio non serve.