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17 nov 2016

Quando un cimitero è Storia

di Luciano Caveri

I cimiteri da bambino mi facevano paura. Specie in quei periodi in cui, nel giorno canonico all'inizio di novembre, vi erano le visite obbligatorie alle tombe dei familiari e degli amici scomparsi, di cui ancora non si percepiva quell'affettuosa presenza protettiva che sento, lasciando allora invece il campo a pensieri lugubri. Così come avveniva quando moriva un parente e anche i più piccoli dovevano compartecipare alle esequie ed uno si sentiva in difficoltà non solo per l'avvenimento luttuoso in sé ma anche perché non si sapeva bene come ci si dovesse comportare nel dolore. Ho in mente il volto immobile di uno zio steso nella bara alla morgue dell'ospedale e fu forse la prima volta in cui mi trovai di fronte al problema di capire un po' meglio cosa fosse questa storia del trapasso. La morte è difficile da capire per un adulto, figurarsi per un bambino.

Crescendo, verrebbe da dire ormai invecchiando, ti accorgi di quanto, invece, tutto sia - nostro malgrado - naturale e anche i luoghi simbolo della nostra civiltà, vale a dire i cimiteri, siano in fondo un luogo da guardare con curiosità, nel rispetto degli elementi simbolici che incarnano oggi come nel passato più remoto. Capita così di ritenere per nulla irrispettoso, anzi l'esatto contrario, visitare i cimiteri e non solo quelli che fanno parte dei tour più usuali del turismo di massa. Mi è capitato spesso, nei giri attraverso la Valle d'Aosta, di trovare angoli incantevoli nei cimiteri di montagna in cui la pace aleggiava, percorrendo con il rispetto voluto i vialetti e guardando le tombe degli scomparsi con un interesse che non deriva da chissà quale elemento contemplativo o filosofico, quanto perché anche le sepolture sono un segno dei tempi ed un elemento fondante di ogni società umana. Ci pensavo nelle scorse ore, percorrendo - con una sensazione evocativa che mi turba - il piccolo perimetro del vecchio cimitero urbano di Sant'Orso, funzionante dal 1782 al 1930, che si trova a poche centinaia di metri dal quartiere aostano e dalla celebre chiesa dedicata al Santo taumaturgo. Non mi metto a raccontarne la storia, che è rappresentata con chiarezza, efficacia e competenza in un volume "Ad Memoriam. Storia e storie del cimitero del Borgo di Sant'Orso in Aosta" di Daniela Bernini, edito da "Le Château". Resti solo chiaro che figurano nel cimitero - spesso con epitaffi significativi naturalmente in francese - persone varie, illustri e no, che tracciano una fitta rete della famiglie che abitavano in quella zona della città: una sorta di città che rivive nelle sepolture. La questione mi tocca perché, quando nella seconda metà dell’Ottocento la mia famiglia o meglio il mio bisnonno, venne ad Aosta come SottoPrefetto, scelse di abitare nel Bourg e così sua moglie, la mia bisnonna Ermine Caveri, nata De La Pierre Zumstein, è sepolta - non molto distante da dove abitavano in via Sant'Anselmo - nella tomba della sua famiglia, che era il ramo dei Danielsch, con molte personalità eminenti, della famiglia gressonara, originata nel 1420 da quel Jean, notaio in Valle d'Aosta, che era originario di un paesino vicino al lago del Bourget. Oggi si tratta di rimettere a posto la stele della tomba, scrostatasi nel tempo, per evitarne il degrado. Purtroppo il piccolo cimitero, che però ha avuto migliaia di sepolture finché è rimasto attivo, è stato l'oggetto nel tempo di diversi problemi di abbandono. Infiltrazioni d'acqua hanno degradato molte tombe, così è stato per l'incuria dei luoghi con erbacce e piante, ma anche per atti vandalici sia da parte di ladri che hanno rubato oggetti tombali, come le fotografie (anche quella dell’inventore Innocenzo Manzetti!), sia da parte di imbecilli che penetravano fra le tombe per tenere delle messe nere. Grazie a benemeriti volontari si sono limitati i danni, ma - al di là degli interventi degli eredi, non sempre ben individuabili - o ci saranno scelte risolutrici pubbliche (il Comune di Aosta) o private oppure saranno guai, specie per tombe significative - come quella, per fare un solo esempio fra quelle ormai crollate, del famoso Anton Zimmermann della "Birra Aosta" - oppure spariranno ricchezze rievocative della memoria del passato. La possibile distruzione nel tempo del piccolo cimitero sarebbe non solo una mancanza di sensibilità della comunità verso i propri avi, ma anche stupidità nei confronti di una risorsa culturale che - lo dico conoscendo la reazione di alcuni visitatori nei rari giorni di apertura al pubblico - può far parte di una tappa ricca di suggestioni di un tour di Aosta e del suo Borgo di Sant'Orso.