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29 ago 2016

Gli eccessi del wingsuit

di Luciano Caveri

Pensando al volo umano, viene anzitutto alla memoria Icaro, figlio di Dedalo e di Naucrate, schiava di Minosse. Rinchiuso con il padre nel labirinto di Creta, fuggì volando con le ali che Dedalo aveva adattato con la cera al proprio corpo ed a quello del figlio. Ma lo stesso Dedalo - così scrive Ovidio nelle sue "Metamorfosi" - ammonì Icaro: «Dopo aver dato l'ultimo ritocco al suo lavoro, l'artefice librò il proprio corpo sulle due ali, e restò sospeso nell'aria agitata. Poi istruì il figlio dicendogli: "tieni la via di mezzo o Icaro, ti raccomando; così se andrai basso l'onda appesantirà le penne, se troppo in alto, il sole le brucerà. Vola tra l'una e l'altra: prendi la strada che io ti mostrerò"». Ma Icaro, preso dall'ebbrezza del volo, ai avvicinò troppo al Sole, perciò la cera si sciolse e così morì cadendo in mare.

Viene da pensare davvero alla mitologia classica, assistendo alle morti a raffica nei cieli alpini di professionisti esperti e di semplici appassionati di quella disciplina chiamata "wingsuit", in italiano "tuta alare", che è quella particolare tuta utilizzata durante i lanci da alte quote. La sua forma richiama la struttura corporea dello scoiattolo volante, conferendo al corpo una forma che riesce ad aumentare la superficie attraverso un profilo alare, in modo da sfruttare la velocità data dalla caduta e a convertire questa in una planata orizzontale. Wikipedia, ricordati alcuni precursori, definisce così la scoperta come la conosciamo oggi: "Il merito della messa a punto della prima autentica "tuta alare" va attribuito al paracadutista francese Patrick de Gayardon ed al suo team. De Gayardon intuì che, date le caratteristiche di densità del corpo umano, non ci si poteva ispirare alle forme degli uccelli bensì sarebbe stato più utile riferirsi a quei mammiferi il cui patagio (membrana cutanea che funge da ala o da paracadute) consentiva di planare. Dopo i primi studi a partire dal 1994, nel 1996 sono incominciati i primi voli sperimentali. Ma la data ufficiale di nascita della "tuta alare" è il 31 ottobre 1997, quando, al cospetto di un gruppo di giornalisti italiani, Patrick de Gayardon, dopo un salto dall'elicottero a seimila metri di quota, sfrecciò tra le guglie del versante francese del Monte Bianco. Per la prima volta l'avanzamento supera il tasso di caduta". Oggi, con tutte le migliorie di questi ultimi vent'anni ed i cambiamenti nelle modalità d'approccio, gli appassionati di questo tipo di volo si sono moltiplicati e la loro tuta, che appare goffa prima del lancio, si dispiega durante il volo che precede l'apertura del paracadute che li riconduce a terra con un carico di emozioni che certo devono essere notevoli. Ma viene in mente, a pensare alla passione dei praticanti e ad una certa sottovalutazione dei rischi, l'ammonimento di Leonardo da Vinci, gran disegnatore di macchine volanti: «Quando camminerete sulla terra dopo aver volato, guarderete il cielo perché là siete stati e là vorrete tornare». Oggi basta guardare i filmati sul Web per rendersi conto che dalla febbre del volo si è passati ad un progressivo incremento del rischio in una sorta di rincorsa che fa della "tuta alare" uno sport estremo sempre più pericoloso. La logica, infatti, è quella di sfiorare gli oggetti al suolo in maniera sempre più ravvicinata e questa ricerca dell'adrenalina e soprattutto del record (alimentata anche dagli sponsor) sta avendo conseguenze sempre più nefaste. Sono gli esperti a dire che basta, nella conduzione del volo, un piccolo errore umano od un improvviso problema ambientale per trasformare un volo in uno schianto mortale viste le velocità da brivido e l'assenza di vie di scampo. Ora si discute se vietare o no sulle montagne questi voli estremi (in certi Paesi già avviene) o se trovare forme di maggior regolamentazione che evitiamo errori macroscopici o sottovalutazioni o servano a fermare "piloti della domenica" che imitino prestazioni che richiedono ben altro livello di competenza. La questione non è semplice, pensando che non riguarda solo un diritto soggettivo ad assumersi dei rischi estremi, ma il fatto che, in caso di incidente - sarà troppo brutale ricordarlo? - bisogna mettere in moto macchine di soccorso e perlopiù di recupero con rischi per i soccorritori e costi per la comunità laddove non funzioni meccanismi di obbligo assicurativo. Personalmente credo che le proibizioni spostino solo altrove il problema ed i divieti creino spesso il gusto di infrangerli in chi ama sport già trasgressivi di per sé stessi, per cui forse bisogna mettere paletti sempre più chiari nella disciplina per evitare che la tuta alare diventi una sorta di roulette russa con botto finale.