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01 lug 2016

Pensando al Regno Unito

di Luciano Caveri

Per me i rapporti politici con gli eletti al Parlamento europeo del Regno Unito hanno sempre avuto tre aspetti diversi ma complementari. Anzitutto la frequentazione continua con i "LibDem" del mio Gruppo parlamentare e la persona con cui lavoravo di più era Graham Watson, il presidente del Gruppo, che amava esprimersi in italiano (e si era pure sposato un'italiana), anche se quando venne per una riunione in Valle d'Aosta - svoltasi a Champoluc - esibì volentieri il suo fluente francese. Con lui visitai il suo collegio elettorale nel sud ovest dell'Inghilterra, atterrando a Bristol ed in certi incontri ebbi conferma di quel che già sapevo: la presenza di uno scetticismo di fondo verso un'Europa avvertita come qualcosa di politicamente distante ma anche di troppo invasivo nelle decisioni più minute. Sempre nel Gruppo ho avuto il privilegio di conoscere una delle teste pensanti del federalismo europeo, Andrew Duff, e di essere vicino di banco di Nick Clegg, grande amante delle Alpi francesi, che è stato poi vice Primo Ministro del Governo Cameron.

Il secondo e terzo aspetto sono stati il lavoro, prima nel Parlamento e poi al "Comitato delle Regioni": quel che emergeva era sempre la concretezza dell'approccio e una sorta di esibita alterità verso l'Europa, condita sempre con un pizzico più o meno grande di complesso di superiorità, residuo dell'antica potenza del Regno Unito, mentre - ultima annotazione - era evidente l'affinità fra un autonomista valdostano e gli esponenti dei partiti scozzese e gallese, che incontravo nell'Intergruppo delle "Nazioni senza Stato". Ma questi sono ricordi personali, mentre oggi - resi evidenti i contorni generali della "Brexit" - bisogna capire l'impatto anche sulla Valle d'Aosta di questo distacco. Opportunamente si è partiti dall'impatto economico e cioè dal prevedibile crollo di sciatori inglesi, il cui flusso è stato in crescita negli anni e oggi è un caposaldo del turismo invernale. Con la sterlina indebolita verso l'euro il potere d'acquisto penalizzerà i soggiorni della neve ed è bene rifletterci in tempo. Ma io credo che ci siano elementi storici che devono consentirci di guardare a questo addio all'Europa come qualcosa di più su cui riflettere. Penso all'incredibile storia del nostro Sant'Anselmo d'Aosta, noto anche e non a caso come Anselmo di Canterbury (Aosta, 1033 o 1034 - Canterbury, 21 aprile 1109), che è stato una grande personalità: teologo, filosofo, monaco e arcivescovo, che crea un ponte fra le Alpi e una delle Cattedrali più incredibili della cristianità. Saltiamo di secoli e ricordiamo la scoperta dell'alpinismo sulle nostre montagne passa attraverso gli inglesi e copre un lungo periodo e confesso lo stupore quando per i centocinquant'anni della prima scalata del Cervino ad opera del celebre londinese Edward Whymper scoprii che anche Winston Churchill tentò di scalare la vetta, dopo aver salito il Monte Rosa nel 1894 appena ventenne. Ma per capire che non si trattò solo delle alte cime basta leggere "Viaggiatori inglesi in Valle d'Aosta" di Piero Malvezzi, che ricorda come nel Grand Tour ottocentesco la scoperta della Valle divento un classico con diari e lettere che meglio di molto altro ci restituiscono il ritratto di un'epoca. Per non dire dei dipinti di Joseph Mallord William Turner, che venne da giovane in Valle a inizio Ottocento e ci tornò da artista affermato e ricordo l'impressione di quell'ottantina di opere che figurò nella mostra di tanti anni fa intitolata "Turner, le Mont-Blanc et la Vallée d'Aoste", che meriterebbe di essere riproposta. Interessante anche il filone della presenza inglese nello sfruttamento delle miniere, dimostrato in modo esemplare da quella società, la "Evançon Gold Mining Company", che sfruttò - a cavallo tra Ottocento e Novecento - la miniera d'oro di Brusson. Pezzi di Storia, ma l'incrocio più importante avvenne - nel bene e nel male - durante le fasi finali del secondo conflitto mondiale. Ricordo mio zio Ulrico Masini quando ricordava i lanci di materiale bellico che gli inglesi annunciavano, a favore dei partigiani, attraverso "Radio Londra". E la fierezza con cui raccontava del suo mitra "Sten" a canna corta - avuto appunto dagli inglesi - con cui combatté in quegli anni cruciali. Ma nella "grande" Storia di quegli anni certo gli inglesi , spinti certamente anche da Casa Savoia e dalla "Fiat" che riteneva strategico l'idroelettrico valdostano, furono fra quelli che raffreddarono le speranze di libertà dei valdostani nel nome del realismo politico. Questo per dire per sommi capi - e chissà quante cose dimentico - che anche noi valdostani, nel nostro piccolo, abbiamo incrociato pezzi di Regno Unito, che dimostrano che - fatta salva l'insularità - sono le vicende del passato che fanno capire come l'idea di un'Europa senza quei popoli - con scozzesi, irlandesi, gallesi, oltreché gli inglesi il plurale è d'obbligo - è impensabile, anche se per ora bisogna incassare la loro scelta.