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30 mag 2016

Lasciate stare i partigiani

di Luciano Caveri

Ho seguito con un certo sconcerto la polemica, in verità innescata dalla sempre più frizzante Maria Elena Boschi, volto femminile glamour del Governo Renzi, dotata di indubbia grinta e grande considerazione di sé, a proposito dei partigiani e del referendum sulle riforme costituzionali di ottobre. In sostanza, in televisione e dunque non ci sono frasi riportate su cui equivocare, ha detto pari pari: «L'Anpi come direttivo nazionale ha preso una linea, poi ci sono molti partigiani, quelli veri, e non quelli venuti delle generazioni successive, che voteranno "sì" alla riforma». Ognuno è responsabile di quel che dice ed a poco vale il fatto che anche questa volta, con linea difensiva secca, non utilizzata per altri membri del Governo, è giunto in soccorso il premier Matteo Renzi. Restano il tono e il contenuto a dimostrazione che certo nuovismo, fattosi clan, diventa qualche cosa di imbarazzante, perché le Istituzioni non possono passare il tempo a far battute ed annunci, in un epoca oltretutto in cui la politica non gode di grande considerazione.

Sarà che certe dichiarazioni mi colpiscono perché sono cresciuto in un ambiente familiare antifascista e lo dico conscio del fatto che sono passati settant'anni e, come leggevo l'altro giorno, non è un caso che fra un parabrezza di una macchina ed uno specchietto retrovisore c'è una grande differenza di grandezza, perché è sempre più importante guardare avanti che indietro. Ma la storia ed i suoi insegnamenti non sono un optional, specie in un Paese nel quale le svolte autoritarie sono sempre avvenute in un clima fra l'attonito e l'inconsapevole e dunque il richiamo ad avvenimenti già avvenuti serve da ammonimento e da promemoria. Sarà che per un valdostano è più facile: fatta la tara del fenomeno resistenziale, senza metterlo su un altarino con le immaginine ed i ceri, perché quello vale per il trascendente e non per le questioni umane sempre fallibili, resta il fatto che partigiani e antifascisti hanno evitato (con gli Alleati) che l'Italia restasse prigioniera di una dittatura feroce, ancora più compromessa dall'abbraccio mortale con la Germania nazista. Certo, per la Valle d'Aosta possono valere le considerazioni fatte dallo scrittore Sebastiano Vassalli: «La Resistenza non è soltanto un episodio militare della storia recente d'Italia, anche se ormai questa interpretazione restrittiva farebbe comodo a molti. La Resistenza non è soltanto un episodio politico, un momento di transizione tra la caduta della monarchia e del fascismo e l'avvento di uno Stato democratico e repubblicano. E neppure la si può considerare alla stregua di un "bel gesto", di un fatto di redenzione culturale e civile necessario per far uscire l'Italia dalla barbarie e rimetterla in linea con i Paesi progrediti. La Resistenza fu tutte queste cose e altre ancora. Ma fu anzitutto, come già s'è detto, guerra di popolo». Non per tutti fu così. Ma a questi valori mi richiamo proprio perché sono insiti anche nella storia valdostana, come dimostrato dalle vicende delle bande partigiane e dai cippi con cui si ricordano i morti, e soprattutto attraverso la Resistenza in Valle è risorta dal passato settecentesco, quando morì per mano dei Savoia, una pur imperfetta forma di autonomia speciale contemporanea. Quella stessa autonomia valdostana che i governanti odierni, in una logica di centralizzazione statale che umilia la democrazia locale nel nome dell'efficienza del leader e del suo entourage e in sostanza dell'antiparlamentarismo, pone e porrà in discussione in caso di successo al referendum. E' una triste profezia grandemente confortata da mille dichiarazioni di Renzi ed i suoi accoliti, che sono gli stessi - come dimostra la storia italiana - che si squaglieranno come neve al sole quando il potente di turno cadrà in disgrazia. Questa è semmai la debolezza all'origine dell'attuale Repubblica: troppi voltagabbana dell'ultimo secondo diventati antifascisti in una notte e troppi compromessi con il regime graziati da amnistia e da amnesie. Ecco perché vien da dire, parafrasando un celebre detto, "scherza con i fanti, ma lascia stare i partigiani". Perché, senza farne un mito e scontando la logica dell'oblio più si allontaneranno i fatti di quel tempo, vorrei far notare che se avessero vinto fascismo e nazismo oggi non saremmo qui a raccontarci tante cose, compresa la preoccupazione che si faccia della Costituzione del 1948 "carne di porco" nel nome non di un legittimo rinnovamento della Carta costituzionale - che come tutto può essere ragionevolmente modificato - ma di una scelta di cambiamento ad uso personalistico e con una svolta centralistica che cozza contro il disegno condiviso con cui la Repubblica si diede regole costituzionali. Norme che avevano nel decentramento e nelle autonomie, anche con la riforma quasi federalista del 2001, un caposaldo ora messo in discussione e che mostravano cautela verso forme di eccesso presidenzialistico, ricordando proprio il nefasto periodo fascista. Anche in questo caso si è scelta, invece, la strada dell'uomo solo al comando con tutte le conseguenze che rischiano di manifestarsi e di cui certi prodromi sono ben visibili con sconforto dei partigiani ancora viventi.