Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
18 mag 2016

Prossima tappa: macroregioni

di Luciano Caveri

Giuro che per un pochino non ne parlerò più, oggi passo e chiudo fino a nuovi spunti, che non ripetano cose già dette. Mi riferisco alla legge costituzionale "Renzi - Boschi", che ha acceso anche un vivace dibattito in Consiglio Valle in queste ore in quel clima politico generale che talvolta è imperscrutabile anche per chi qualcosina dovrebbe capirne. Ed è un bene che si discuta di quel che verrà con il referendum confermativo, perché certe vicende che toccano la Costituzione riguardano il nostro futuro come cittadini e concernono anche l'ordinamento valdostano, così come si è configurato dal 1945 ad oggi. Mi pare che i parlamentari valdostani non abbiamo brillato per una connessione, come si cercava di fare in passato, con le Istituzioni regionali, ma capisco che questa valutazione può sembrare polemica, mentre non è niente altro che una malinconica constatazione. Si poteva contare di più.

Invece l'impressione è che si sia scelto di stare nel gruppone, mentre per le Speciali del Nord per fortuna ci sono sempre i sudtirolesi in fuga alla ricerca di una vittoria per il loro territorio, portandosi dietro anche chi ha poca inventiva e scarsa azione. Intanto, lo dico incidentalmente, loro continuano a sfornare norme di attuazione... Io penso che la riforma vada vista, almeno dal mio limitato punto di vista, rispetto alle idee federaliste a cui larga parte della politica valdostana dice di fare riferimento e, altro elemento, vanno esaminate le conseguenze fattuali sul futuro della Valle. Un esame dei contenuti per sommissimi capi risulta perciò importante per vedere, in particolare, se esista più o meno "federalismo" delle parti che vengono modificate rispetto alla precedente riforma costituzionale del 2001 in tema di regionalismo e se il contesto generale suoni o meno come una forte scelta centralista di rafforzamento dello Stato (e di un premierato sempre più in sella) contro il sistema della democrazia locale. E' vero che, andando all'origine dell'attuale riforma, vi sono alcune questioni generali che appaiono interessanti. C'è in primis la discussione sulla legittimità di un Parlamento come l'attuale ad occuparsi di riforme così delicate (per altro approvate a maggioranza in totale assenza di uno spirito costituente condiviso) dopo che la Consulta - pur salvando la Legislatura - ha bocciato la legge elettorale nota come "Porcellum" del 2004 per i meccanismi del premio di maggioranza e contestando l'assenza dei voti di preferenza. Inoltre è apparso del tutto eccentrica la scelta del Governo di occuparsi direttamente del testo della riforma costituzionale, con il disegno di legge varato dal Consiglio dei Ministri, in una materia da sempre appannaggio del Parlamento, che non a caso costituì nel passato apposite Commissioni bicamerali, cui io stesso partecipai nella "De Mita - Iotti". Ma la "fretta" di Matteo Renzi è confermata anche dalla circostanza che prima della approvazione della riforma costituzionale è stata varata la legge elettorale nuova, nota come "Italicum", predisposta nella considerazione che la riforma costituzionale entrasse, ex post, in vigore. Tant'è che neppure più esiste un sistema elettorale per l'elezione diretta del Senato! Esempio di come mettere il carro davanti ai buoi... Tutti indizi che consentono di inquadrare certe scelte in un disegno potenzialmente autoritario, come confermato dalla forme di plebiscito ad personam in cui lo stesso Matteo Renzi ha trasformato il voto sul referendum confermativo del prossimo ottobre. Cominciamo dal Bicameralismo. Si esce dall'attuale "bicameralismo perfetto", accusato di rallentamenti nell'azione di Governo, quando l'attuale Legislatura - oltretutto con l'uso discutibile dei decreti-legge, dei decreti legislativi e dei voti di fiducia a raffica - ha dimostrato che mai ci sono stati ritardi ed anzi il duplice controllo ha garantito in molti casi una legislazione più efficace. E si entra in una sorta di "monocameralismo", visto che la Camera dei Deputati diventa il vero pivot (è il solo a dare la fiducia al Governo), mentre il Senato si configura come un'Assemblea di "serie B", senza voto popolare e con un novero di competenze assai limitato (basta scorrere l'articolo 70, 71, 72 novellati: quest'ultimo ha anche una clausola di accelerazione dei lavori su richiesta del Governo!). Questo sistema è saldamente in mano a chi vince le elezioni, grazie al metodo di voto ormai varato, che dà un premio di maggioranza che consente di ottenere 340 deputati su 630 a chi vince le elezioni e analogo controllo sul Senato di nominati di secondo grado. In particolare risultano populiste le norme sul dovere di partecipazione ai lavori dei deputati all'ultimo comma dell'articolo 64, così come appare nella realtà depotenziato al secondo comma dell'articolo 71 l'iniziativa di legge popolare, così come appare non valorizzato il referendum abrogativo con le previsioni di cui all'articolo 75. Visto l'uso abnorme del decreto-legge, preoccupa l'articolo 77, che conferma una visione di un palazzo Chigi che tutto domina e impone. Sul Presidente della Repubblica preoccupa il meccanismo (secondo comma articolo 83) che rende più facile l'elezione, tenendo conto dei già citati meccanismi elettorali che rafforzano eccessivamente la maggioranza di governo. Gli articoli sul Regionalismo vanno tutti scorsi e dimostrano nel nuovo impianto, che smentisce l'ondata federalista del 2001, un crescente centralismo dello Stato che nel nuovo 117 ottiene una norma di vastissima portata "a tutela dell'unità giuridica e economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale". Perla di populismo lo stipendio dei membri dei Governi e dei Consigli regionali equiparati all'articolo 122 ai sindaci dei Comuni Capoluogo di Regione! Da notare all'articolo 135 la composizione sempre più statalista della Corte Costituzionale. Particolare attenzione va posta nell'esame alla disposizione transitoria numero 13 di salvaguardia delle Speciali, che contiene forti elementi di ambiguità e come tale va esaminata, pensando alla totale assenza di chiarezza sulle procedure della celebre intesa e la grande discussione sul coordinamento fra le norme particolari sulle Autonomie differenziate previste dalla riforma del 2001 e la revisione degli Statuti prevista dalla legge attuale. Aleggia su tutto il rischio della facilità che si evince dalla riforma costituzionale di addivenire, viste le maggioranze parlamentari, a future soppressioni delle Speciali attraverso la formula delle macroregioni. Possiamo su questo trovare molte prese di posizione, comprese quelle dello stesso Renzi (persino nella discussione finale alla Camera), contro le Speciali e molte altre dello stesso schieramento politico, ma anche del centrodestra, che esaltano in prospettive quelle scelte macroregionali che spingerebbe la Valle d'Aosta in un oblio istituzionale, nella logica di inchiodarla allo status umiliante di piccolo territorio marginale e negletto.