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01 mag 2016

Pensieri sul 25 aprile

di Luciano Caveri

Il 25 aprile non è per me una data banale. E' come un ripasso di tutte le ragioni del perché ho sempre aborrito qualunque forma di totalitarismo e perciò sono sempre stato sul "chi vive" verso chi sia fatto imprigionare da qualunque ideologismo, troppo spesso alibi per costruire orrori o per sgretolare ideali alla base della democrazia. Così il 25 aprile è occasione di riconoscenza per chi si impegnò contro la dittatura, in primis - per me ovviamente - i miei familiari, che agirono in vario modo nella difesa dei valori fondanti di una piccola comunità nella speranza di una Valle d'Aosta più libera. Una Resistenza "valdostana" che fu un collante importante, perché senza qualcuno che tenesse accesa la fiammella - negli anni in cui larga parte dei valdostani furono proni al regime - dopo non ci sarebbe stato nulla, mentre quel substrato è servito proprio per ridare slancio nel dopoguerra all'identità valdostana e alla speranza di forme di autogoverno.

Ovvia dunque una deferente riconoscenza, come scriveva il poeta Giuseppe Ungaretti in "Per i morti della Resistenza": "Qui vivono per sempre gli occhi che furono chiusi alla luce perché tutti li avessero aperti per sempre alla luce".

Di quelle generazioni di partigiani e resistenti restano oggi pochi sopravvissuti per via del normale corso della Natura. Ma proprio quando anch'essi chiudono gli occhi dobbiamo mostrare loro, come per tutti gli altri che ci hanno creduto, gratitudine e affetto assieme ad una solida memoria degli eventi. E dimostrare, nel limite del possibile e nelle circostanze attuali, che esistono ancora delle idee e delle speranze che non finiscono con loro. Nel nostro caso questo significare capire sempre meglio cosa furono l'antifascismo e la Resistenza nel flusso del lungo cammino autonomistico della Valle d'Aosta. Appello valido specie oggi, visto che la specialità del nostro ordinamento è variamente minacciata ed è anzitutto minacciata purtroppo dal conformismo di autonomismi di facciata e dalla sfacciataggine di chi esibisce in malafede discorsi di circostanza "da 25 aprile" per poi agire senza onestà e coerenza. Questo spiace in una Valle d'Aosta medaglia d'oro della Resistenza. Così addolorano tutti i nemici del 25 aprile che agitano bandiere di pacificazione, che vorrebbero equiparare buoni e cattivi «perché erano tutti ragazzi», che riscrivono la Storia non per le giuste nuove acquisizioni ma perché c'è chi dal revisionismo passa in fretta al negazionismo e via di questo passo. Ha scritto Piero Calamandrei: «Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione». Quella Costituzione che oggi viene cambiata nella sua sostanza a colpi di maggioranza parlamentare e nel mirino, molto presto, finirà anche il nostro Statuto d'Autonomia nel quadro di un disegno autoritario in pieno svolgimento. Una complicità evidente sarà quella di far finta di niente, perché l'indifferenza mina di fatto alcuni capisaldi senza i quali si sprofonderà. Norberto Bobbio scriveva sulla Liberazione: «Dopo venti anni di regime e dopo cinque di guerra, eravamo ridiventati uomini con un volto solo e un’anima sola. Eravamo di nuovo completamente noi stessi. Ci sentivamo di nuovo uomini civili. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi. Quel giorno, o amici, abbiamo vissuto una tra le esperienze più belle che all'uomo sia dato di provare: il miracolo della libertà». Pur con tutti i difetti, teniamocela cara questa libertà, prima che sia troppo tardi, perché si sa che è meglio essere guardinghi e sospettosi. Talvolta il nuovismo assomiglia a quei lupi che si travestono da agnelli...