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27 apr 2016

Veleni e paure nel piatto

di Luciano Caveri

Ho diverse volte raccontato - perché non finirò mai di stupirmi, anche se cerco di stare in piedi sull'onda come un surfista - come più il tempo passi e meno calzi l'immagine di una Storia lenta nei suoi cambiamenti, specie nell'impatto verso quelli che si ritrovavano, come me e chi ora mi legge, a vivere determinati momenti in quest'epoca di continue frenesie. Circostanza che non mi dispiace affatto perché, come diceva Albert Einstein al figlio Eduard: «La vita è come andare in bicicletta. Per mantenere l'equilibrio devi muoverti». Il caso più eclatante è rappresentato dalle scoperte tecnologiche e dalle loro applicazioni, che non sono più centellinate ma debordano e ci obbligano a far girare le rotelline del cervello perché non si anchilosi. Ed esistono anche altri aspetti che ci colpiscono quotidianamente che dimostrano come tutto cambi furiosamente al galoppo anche in aspetti apparentemente banali della nostra esistenza.

Io non ho ovviamente vissuto epoche di autoconsumo alimentare, quando era giusta l'idea di secoli che apparivano lenti nei cambiamenti come delle tartarughe nel loro incedere. Tuttavia, sono testimone diretto di come dai negozietti di paese e dai mercati settimanali con prodotti di prossimità si sia passati alle grandi superfici con un mondo negli scaffali e persino ad acquisti on line dal "chilometri zero" a prodotti di tutto il mondo (di cui i ristoranti etnici sono un caleidoscopio). Tutto finisce sulle nostre tavole e attraversano i nostri corpi dalla masticazione in giù... Ci sono in queste occasioni alimentari delle opportunità di straordinaria conoscenza e di confronto culturale, ma qualche inquietudine in questa crescente industria alimentare planetaria mi tocca, senza cadere nella trappola di un passato fatto di inesistenti e truffaldini "Mulini bianchi". Perché anche in una piccola valle come la Valle d'Aosta il mercato autarchico alimentare non era per nulla rose e fiori: povertà e denutrizione venivano ben descritti dalle cronache ottocentesche dei viaggiatori in transito su una parte importante della popolazione. La modernità ha sortito benessere e vita più lunga, ma - rovescio della medaglia - mi spaventano (e come cittadino mi sento talvolta smarrito) i veleni che finiscono nel mio piatto e che possono minare la nostra salute. Penso banalmente alle sostanze chimiche pericolose usate in agricoltura o a certi medicinali usati negli allevamenti intensivi di animali. Senza avere atteggiamenti ridicoli e maniacali, confesso che - pur avendo una discreta esperienza politica e amministrativa - che vorrei essere rassicurato di più sulle soglie di controllo e di prevenzione per evitare di mangiare o di bere cose che, come una bomba ad orologeria, prima o poi deflagrino nel mio corpo per mia ignoranza dei fatti e per lassismo di chi dovrebbe vigilare. Sono molti i soggetti che in Italia, ma c'è pure un livello europeo rappresentato da numerosi regolamenti e direttive sul tema, che si occupano di sicurezza alimentare. Dice il "Codex alimentarius": "La sicurezza alimentare è la garanzia che un alimento non causerà danno dopo che è stato preparato e/o consumato secondo l'uso a cui esso è destinato". Ha ragione il fondatore di "Slow Food" Carlin Petrini a sostenere: «Ho bisogno di conoscere la storia di un alimento. Devo sapere da dove viene. Devo immaginarmi le mani che hanno coltivato, lavorato e cotto ciò che mangio». Ma aggiunge anche un'altra cosa che condivido: «Tutte le volte che mi fanno una domanda sul "cibo biologico" io mi chiedo: ma quando è partita la follia per cui è necessario certificare come un'eccezione ciò che dovrebbe essere la norma? Coltivare, allevare, trasformare la natura in cibo senza aggiungere input esterni, chimici e a base di petrolio, dovrebbe essere normale. E' chi aggiunge fertilizzanti chimici, pesticidi, additivi, conservanti che dovrebbe dichiararlo, certificare e documentare la sua "anormalità"». Naturalmente non sono ingenuo: so bene che ci sono meccanismi commerciali che obbligano ad avere cibi che si muovono per il mondo, che può esistere un uso "buono" di prodotti chimici et similia nelle coltivazioni e nell'alimentare, che non esiste solo un'imposizione dei prodotti - magari con la pubblicità - ma ci sono anche offerte che rispondono a domande legittime dei consumatori. Ma conto sui controllori che vigilino su storture, eccessi e rischi di avere prodotti che facciano male alla nostra salute, senza la quale - salute, intendo - ci resterebbe poco da commentare...