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21 apr 2016

Dal mappamondo alla storia di un paese

di Luciano Caveri

Ogni volta che vedo un mappamondo lo guardo con piacere. Ed è un regalo che ho sempre fatto ai miei figli, nella logica che spesso abbiamo noi genitori di scegliere per loro qualcosa che in fondo piace anche a noi. Leggo talvolta che mappature digitali tipo "Google Earth" stanno uccidendo gli straordinari atlanti di un tempo e mettono in crisi anche il vecchio mappamondo, specie per la rapidità con cui si passa da un piccolo luogo definito ad una visione del nostro pianeta nell'oscurità. Ma la sfericità del mappamondo e la sua tridimensionalità per ora sono preziosi, anche perché è l'immagine di noi come risulta visibile dallo spazio. Ho letto che ora, ma non me ne stupisco avendo visitato proiezioni digitali e interattive in qualche museo, che ci sono globi digitali che sono la versione innovativa del mappamondo con una serie di potenzialità enormi di informazioni e di varianti.

Quando mi è capitato di guardare un mappamondo, per ovvie ragioni alla fine sono andato a cercare quello spazio minuscolo occupato dalla Valle d'Aosta. Un sano desiderio patriottico per chi ama il proprio Paese, in quella logica federalista che è un modo per temperare ogni tentazione di un insano nazionalismo giacobino. Questa ricerca del particolare, sempre più minuto nel discendere di scala, vale anche per la dimensione che può farsi più locale. Ecco perché - letto fresco di stampa della "Tipografia Duc" - mi sono molto divertito a leggere il libro sul paese dove abito, Saint-Vincent, intitolato "Saint-Vincent ville d'eaux" (sottotitolo "Turismo a Saint-Vincent fra '800 e '900"), scritto dalla professoressa Chantal Vuillermoz, che conosco da ragazza e che con acume, ironia e un gran lavoro si è occupata, con il suo proverbiale sorriso sornione, di una storia che dimostra come i valdostani debbano agire sul proprio territorio come fanno con il mappamondo, cioè cercando nel piccolo esempi che poi consentono messi assieme un'utile visione complessiva. Questo significa anzitutto avere coscienza dei cambiamenti e non averne paura, perché si tratta di un processo del tutto naturale. La vita delle comunità non si può mettere in un barattolo con la formalina e la vita comune non agisce in una logica museale e conservativa. Tutto cambia e la conoscenza del passato non vale per avere meccanismi di rimpianto o di passatismo, ma come scatto per il futuro. Così Saint-Vincent, grazie al termalismo in auge, attraversa tutto l'Ottocento con una clientela di élite che si espande con strade carrozzabili e l'arrivo della ferrovia nella sua seconda metà. Con un turismo che da élitario e nobile diventa sempre più borghese nel Novecento e trasforma in profondità parte di un paese contadino (che resta rurale in tutta la collina con povertà che spinge all'emigrazione) in una località di lusso che trova nella "Belle Epoque" il suo apice, come dimostrano ville ed alberghi segno di un epoca d'oro in parte ancora ben visibili sul territorio. Con molti aneddoti simpatici (l'importanza dei gabinetti nei pressi della "Fons Salutis" per via delle proprietà lassative, il filobus elettrico che parte dalla stazione di Châtillon ma che Saint-Vincent non vuole per campanilismo!), ma anche spiegazioni che ci fanno capire molte cose (all'inizio il "Casinò" non ha nulla a che fare con sale da gioco, ma a un certo punto spunterà una roulette, oltre alle già presenti attrazioni con vasche e sale lettura). Quel che appare nel libro - specie in confronto all'oggi - è una mappa di quel che resta e di quello che è scomparso in una comparazione che dimostra come il paese abbia cambiato più volte nel tempo - anche quello a cavallo di soli tre secoli - il proprio modo di essere. Un esercizio utile per capire e studiare il presente, pensando alla crisi del termalismo pian piano arenatosi nel secondo dopoguerra e purtroppo non ripartito, dopo il mancato per un "project financing" sinora irrealizzato nel suo disegno complessivo. E la crisi nera ha toccato il "Casinò de la Vallée", che aveva connotato con la sua presenza gli ultimi settant'anni con una specie di staffetta rispetto al precedente ruolo cruciale delle Terme. Certe depressioni attuali rientrano certo in cicli storici ed economici più lunghi e si tratta di trovare soluzioni nuove per ripartire: dipende anche dalla qualità delle persone che se ne devono occupare e certe comparazioni con il passato sono spietate sulle vicende contemporanee.