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15 mar 2016

La cronaca nera che tracima

di Luciano Caveri

La riflessione sulla quotidianità sembra sempre più popolarsi di storie paurose e di avvenimenti agghiaccianti. Ormai è impossibile guardare un telegiornale con un bambino, perché per quanto la spiegazione dei genitori possa mediare la notizia e non ferire i sentimenti infantili, il lavoro di questo genere si è fatto oggettivamente improbo. Come lo spieghi l'estremismo islamista e le sue stragi, cosa raccontare dei femminicidi che si moltiplicano, esiste un modo per dire della ferocia di certi assassini o di certe terribili conseguenze di fenomeni naturali o di determinate tremende combinazioni del destino? La cronaca nera è da sempre la palestra dei giornalisti e per altro si sa che occuparsi di delitti, sciagure e simili altre nefandezze o storie torve corrisponde ad un gusto del pubblico.

Quando ho cominciato a fare questo mestiere, le agenzie di stampa e naturalmente i siti informativi in Valle d'Aosta non c'erano. L'Ansa, con un corrispondente locale, Giuseppe Lucca, mandava rare notizie su fatti eclatanti. Per cui toccava fare il "giro di nera", chiamando le Forze dell'ordine. Per molti anni nella redazione "Rai" campeggiò una grande lavagna con i numeri telefonici da fare, scritta di mio pugno con la mia gigantesca calligrafia. Era un giornalismo "fai da te", nel senso che partivi proprio dalla fonte. Tanti incidenti stradali, rari omicidi, qualche rapina, molto soccorso in montagna, la giudiziaria nei suoi diversi aspetti: non c'era mai da annoiarsi ed in certi casi finivi con i servizi nei "Gr" e nel "Tg" nazionali, quando alla "Rai" da Roma in Valle gli inviati speciali erano mandati poco e questo faceva crescere la redazione locale che si affacciava in certi casi al grand public. Confesso che anche oggi seguo la cronaca nera, che intanto si è espansa a dismisura, specie in televisione, diventando un assillo, per cui ho trovato ragionevole la scelta del nuovo direttore generale "Rai", Antonio Campo Dall'Orto, di togliere del tutto la cronaca nera dentro "Domenica in". Ci penso guardando in queste ore all'omicidio incredibile di Roma, dove un ragazzo è stato ucciso da due persone che «avevano voglia di uccidere qualcuno» e lo hanno fatto con violenza atroce e barbara. Ma se vi mettete di buzzo buono in pochi minuti si raccoglie un campionario di atrocità inimmaginabile se non nei più spaventosi film dell'orrore. Ha scritto il giornalista e scrittore Michele Serra: «Il sospetto, dunque, è che l'angosciosa percezione di un salto di qualità del male e della violenza sia dovuta soprattutto a una assai più diffusa conoscenza di crimini sempre avvenuti, ma solo oggi diventati materia prima quotidiana di un sistema mediatico cresciuto in maniera esponenziale. Ogni frammento di orrore viene ingigantito, ogni urlo di dolore amplificato, su ogni singola variazione attorno all'orrendo tema della violenza dell'uomo sull'uomo vengono allestiti fluviali dibattiti. L'esile scia di sangue che i cantastorie trascinavano per piazze e villaggi è diventata il mare di sangue che esonda dal video: ma è sempre lo stesso sangue, probabilmente anche la stessa dose pro-capite, solo con un rendimento "narrativo" moltiplicato per mille, per un milione, per un miliardo di volte». Questa espansione virale delle notizie orrende, quasi rassicuranti per contrasto nel nostro quotidiano, in cui «l'abbiamo scampata bella», è un segno dei tempi e sembra troppo spesso come un gas velenoso che si insinua e si espande. Nessuno pretende - perché avviene solo nelle dittature - che la cronaca nera si tinga di rosa, sparendo dalla scena, ma come trattare i casi e raccontare i fatti è altra cosa e buone regole possono evitare inutili eccessi.