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01 gen 2016

Il Clima pazzo

di Luciano Caveri

Le situazioni parossistiche hanno l'utilità di farti riflettere e scuoterci dal torpore della normalità. A pochi giorni dalla chiusura della Conferenza di Parigi sul clima, finita meglio del previsto, sembra che le bizzarrie planetarie del tempo siano la miglior vetrina di quanto si è discusso per settimane: le stranezze meteorologiche, con certi fenomeni mirabolanti ci sono sempre state, così come sappiamo che ci sono stati periodi di grandi cambiamenti sullo stesso territorio (pensiamo al "via vai" dei ghiacciai nelle diverse ere in Valle d'Aosta), ma questa volta il quid in più è il collegamento fra le nostre attività umane ed i cambiamenti climatici progressivi e impattanti. Le nostre abitudini personali e collettive dovranno in qualche modo cambiare per evitare il peggio, che purtroppo è già in atto e basta mettere il naso fuori dalla finestra.

Il mancato innevamento sulle Alpi e le piogge a quote più basse ormai un ricordo, caratteristica di questi ultimi mesi sono per chiunque di noi un'evidenza impressionante con conseguenze molto gravi sull'economia della montagna, visto che lo sci resta il caposaldo del turismo invernale. Ma che ci sia qualche cosa di malsano è evidente, guardando con sconforto questi panorami innaturali, rispetto alla stagione invernale, con le montagne dai colori autunnali e poca neve su alcune cime, mentre le altre sono come scogli rocciosi spogli e tristi. Ma il peggio è la qualità dell'aria. A che cosa respiriamo pensiamo raramente: lo facciamo molto di più con quel che beviamo e mangiamo. E invece la respirazione - scusate la banalità - è un processo indispensabile per il nostro organismo, partendo anche dalla qualità dell'aria che inspiriamo e invece tendiamo abbastanza a banalizzare la sua importanza. Tranne che in circostanza come l'attuale in cui il fenomeno dell'aria di cattiva qualità è evidente. A me è capitato l'altro giorno di accorgermene in pieno ad Aosta, in una mattinata in cui la cappa di inquinanti in atmosfera era visibile ad occhio nudo. Respirando a pieni polmoni, con un test personale e non scientifico, avevo davvero una percezione di respirare qualche cosa di malsano, come può avvenire quando ci si trova in un'atmosfera fumosa o maleodorante. Seguo per curiosità - e un tempo anche per dovere istituzionale - i rilevamenti sul territorio valdostano effettuati con minuzia dall'Agenzia regionale per l'ambiente "Arpa". Attraverso analisi e modellistiche si possono seguire le evoluzioni negli anni ed i miglioramenti e i peggioramenti. Penso, per fare esempi concreti, all'impatto decrescente del traffico dei "Tir" in Valle d'Aosta per via dei motori diesel sempre meno inquinanti, agli sforzi in atto sulla città di Aosta per rendere sempre meno impattante l'azienda siderurgica "Cogne" e le sue emissioni in atmosfera, mi riferisco all'impatto del riscaldamento sulla qualità dell'aria e vi è una differenza abissale fra una caldaia a metano e un caminetto a legna. Ma situazioni come quelle di quest'anno indicano la necessità di ulteriori passi in avanti. Saranno i rilevamenti dei prossimi mesi a dirci quanto lo smog (cioè la nebbia densa e scura, impregnata di fumo e di gas inquinanti) anglicismo preso a prestito dal tedesco combinando "smoke - fumo" e "fog - nebbia", abbia inciso sulle malattie, specie polmonari, e persino - purtroppo - sulle morti di persone anziane, più fragili di fronte a questi fenomeni (e già in Italia c'è stato nei mesi scorsi un aumento piuttosto misterioso del numero dei morti, ma i tagli alla diagnostica sono una pista credibile). La Valle d'Aosta potrebbe, volendo, essere davvero una punta di diamante di politiche innovative - rispetto anche a quanto già fatto - contro l'inquinamento, ma questo prevede idee e ingegno, specie nell'uso dei fondi comunitari. Oggi si mira troppo spesso solo al contingente senza quella visione prospettica, che sarebbe pure utile per la salute nostra e delle generazioni future.