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19 dic 2015

I pacifici cannoni della neve

di Luciano Caveri

Il mio primo inverno senza neve risale alle vacanze di Natale a cavallo fra il 1980 e il 1981, quando non si parlava ancora di riscaldamento climatico e non sciare nelle vacanze canoniche sembrava una boutade passeggera per chi aveva visto sin da piccolo solo regolari nevicate. Con la compagnia di amici a Champoluc, ce la cavammo facendo dello slittino lungo sentieri ghiacciati a Saint-Jacques e con belle passeggiate in giro per Ayas e notevoli feste consolatorie. Sembrava una cosa divertente da vivere al momento, come uno scherzo stagionale non più ripetibile. Mentre da allora questa spasmodica attesa della neve si è ripetuta parecchie volte, ma con una variante non trascurabile: l'affermarsi dei cannoni della neve. Quando ne vidi uno per la prima volta, mi sembrò una sorta di aberrazione ed invece si manifestò negli anni il suo ruolo salvifico di parte della stagione con un numero crescente di impianti di innevamento.

Cannoni buoni che al posto di sparare proiettili sparano neve, anche se ci vuole la temperatura giusta e questo non sempre avviene, ma soprattutto - bisogna essere onesti - si garantisce di sciare, ma i costi di installazione e di funzionamento (acqua, energia elettrica e personale per produzione e battitura) pesano come delle pietre sui bilanci già sempre scalcinati delle società funiviarie. Ho trovato interessante, oscillante fra letteratura e poesia, il breve elzeviro, ieri sul "Corriere della Sera", del mio amico Franco Brevini, grande esperto di montagna e firma di punta sull'argomento del quotidiano milanese. Scrive, infatti con un incipit colto: «Se Faust dovesse risvegliarsi, dall'alto della sua montagna contemplerebbe soddisfatto il lavoro degli impiantisti in questo debutto d'inverno senza neve (almeno fino a Natale). I nastri filiformi delle piste, che stendono la loro ragnatela sull'ocra brullo delle montagne, apparirebbero anche a lui un'opera ciclopica dell'impresa umana». In effetti, se pensiamo che un tempo le popolazioni montane, maledicevano l'abbondanza di neve e le tragedie ad esse connesse erano annotate con cura dai parroci nei registrati parrocchiali, fa impressione che oggi questa neve la invochiamo come elemento salvifico e le nevicate copiose vengano accolte come una benedizione da chi si occupa di turismo. Prosegue appunto Brevini, riferendosi alle piste "benedette" dalle cannonate nevose: «Dietro queste fettucce nevose, che stringono cime e valli nel loro abbraccio sciistico, ci sono investimenti colossali, vasche di accumulo, schiere di cannoni: lo sci resta insostituibile per l'economia alpina. Certo sciare in uno scenario arido che, più che le Alpi, ricorda la Sardegna o il Messico, è un'esperienza straniante. Lo sci viene estrapolato dall'ambiente invernale: le discese avvengono sulla neve, ma ci si muove sul filo dell'ossimoro e tutto intorno rifulgono i colori di una gelida estate. Qualche macchia di neve, di quella che scende dal cielo, occhieggia beffarda fra le creste. Il resto è un asciutto paradiso per il trekking e la mountain bike». Il finale è poesia: «I più felici sono gli animali, che si stanno godendo il meno darwiniano degli inverni possibili: sole caldo, molto cibo, poca fatica. Osservano stupiti i turisti, che li guardano dalle loro costose highway imbiancate. E l'inverno capricciosamente continua». Da notare, mia osservazione finale, che in effetti gli animali - che con inverni rigidi e nevosi rischiano la pelle - soffrono in realtà moltissimo dei cambiamenti climatici ed è il caso di animali "artici" come stambecco o pernice bianca che diminuiscono di numero e ci sono specie, come i camosci, che stanno rimpicciolendo di taglia. Per fortuna da "COP21", la grande assise sul Clima conclusa con un buon documento a Parigi (anche se non si parla delle montagne!), qualche segnale di rinsavimento dei Paesi del mondo indica la strada di maggior attenzione ad un fenomeno di riscaldamento globale che fa impressione. Nel caso mio basta guardare fuori dalla finestra le cime valdostane per capire quanto i conti non tornino.