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16 dic 2015

Il bandolo della matassa

di Luciano Caveri

Posso dire che scrivere tutti i giorni ha un vantaggio e uno svantaggio. Il vantaggio è che il cimento obbliga a tenersi informati, anche quando talvolta certi livelli di saturazione spingerebbero, come avviene nelle pentole a pressione, ad agire con lo sfiato e far scomparire la realtà, dandosi ad una meditazione ascetica. Lo svantaggio è che, di questi tempi, sono più le cose brutte e che non funzionano di quelle che vanno bene e questo crea spesso disagio e dispiacere, perché mancano oasi in cui ristorarsi in certo deserto. Da questo punto di vista, vorrei però che fosse chiara una cosa, dopo tanti anni che appunto qui i miei pensieri, riferendomi in questo caso alla crisi profonda in cui versa la Valle d'Aosta di oggi e il suo regime di autonomia speciale, naturalmente in un clima italiano e internazionale che ha un numero enorme di spine e qualche rara rosa.

Lo preciso a fronte di uno stillicidio di problemi che, nella pur piccola Valle, come una goccia dopo l'altra, si stanno trasformando in un fiume in piena che tutto travolge e distrugge. Non esiste alcun compiacimento in quanto sta avvenendo. Non può crearsi una logica, per quanta avversione ci possa essere per metodi e comportamenti di chi governa, del genere "mors sua, vita mea". Come se, appunto, il disgregarsi rapido e pericoloso di equilibri raggiunti fosse alla fine un pretesto per dire: «avete visto, io lo avevo detto!». Non che questo - su tanti dossier aperti - non sia avvenuto, nel senso che al momento dovuto si siano dette le ragioni per cui certe cose andavano fatte ed il disagio che certe cose da fare fossero state buttate via, ma - preso atto di essere stato come la voce di uno che grida nel deserto - bisogna farsene una ragione. Meglio tirarsi su le maniche. Ricordo sempre, come un'immagine di speranza e pure di commozione, a qualche ora dalla terribile inondazione del 2000 che mise la Valle d'Aosta in ginocchio, il sole che usci dalle nubi e illuminava con i suoi raggi una folla di persone, con le pale in mano, che spalavano il fango senza rassegnarsi al dolore ed alla desolazione. Chi si oppone ad un sistema lavora per cambiarlo, specie se ha il vantaggio di avere avuto la possibilità di conoscere a fondo tante cose e dunque capire le storture e le malefatte. Io ho la fortunata prerogativa di poter avere diverse visuali: la Valle d'Aosta dalla Valle d'Aosta ed uno sguardo consapevole delle questioni triangolari con Roma e con Bruxelles. L'osservazione preoccupata di meccanismi rotti e di risposte sbagliate non vuol dire essere sterili come i giapponesi rimasti nascosti nella giungla a Seconda Guerra Mondiale finita e neppure non sapere proporre soluzioni alternative. Ma significa anche fare una scelta di campo, nel rispetto di quel gioco di rapporti fra maggioranza e minoranza da sempre esistente nei meccanismi della democrazia parlamentare. Il "muro contro muro", le polemiche solo velenose, l'attacco che si trasforma in cattiveria, il "no" per partito preso possono in effetti sul lungo periodo creare situazioni spiacevoli e incomprensibili. Ma, proprio per le stesse ragioni di chiarezza e trasparenza, è bene che si capisca sempre e con esattezza il confine fra chi governa e chi, dall'opposizione lavora per poterlo fare un giorno in quella logica dell'alternanza, che è il sale della democrazia e il contrario della "pastetta". Altrimenti nascono sistemi consociativi e cambi di rotta incomprensibili all'elettorato, come avviene oggi con il Governo Renzi - con una maggioranza composta da soggetti che erano alternativi alle elezioni - e lo stesso vale anche per Aosta, dopo che il Partito Democratico ha lasciato l'opposizione per gli ex avversari, entrando in maggioranza. Naturalmente si dirà che questo avviene per il "bene pubblico", altare altissimo su cui tutto pare sacrificabile, ma è bravo chi ci crede. Il peggio è che si crea di conseguenza quell'idea del "sono tutti uguali", che manda in bestia gli elettori e spinge molti di loro ad infoltire le file degli astensionisti. Per altro, la crisi dell'Autonomia speciale, fra avversioni esterne sempre più feroci ed il declino di un'efficienza amministrativa e di una progettualità politica tutte interne, va in qualche maniera esaminata con la giusta serenità, ma molte incrostazioni a livello pubblico e personale ingrippano i meccanismi. Visto che resto ottimista, anche se le sabbie mobili in cui siamo imprigionati non incitano a molti sorrisi, spero che prima o poi si trovi il bandolo della matassa. Certo al buio non lo si può trovare.