Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
15 dic 2015

Alpini fra passato e futuro

di Luciano Caveri

Basta una chiacchierata casuale per accendere ricordi. Nell'occasione è avvenuto grazie ad una persona conosciuta ad una festa di compleanno, che raccontava del suo arrivo dalla Liguria in treno nel 1975 - proprio l'otto di dicembre - per fare il militare in un'Aosta piena di neve, come all'epoca avveniva ancora. Fece poi l'autista nel periodo di leva, accompagnando un veterinario che andava nelle vallate a comprare quei muli che poi finivano nei reparti salmerie delle locali caserme degli alpini. C'ero anch'io nei pressi a metà degli anni Settanta: da Verrès salivo ad Aosta per studiare al Liceo classico. Per chi abitava in un paese, anche se può far sorridere, andare in città era un salto. Lo era per i compagni di classe che, in analogia con i turisti coetanei in montagna o gli amici del mare, parevano "saperla più lunga".

Da lì ho maturato la convinzione di quanto fosse utile fare dei "bagni freddi", cioè - fuor di metafora - poter accumulare esperienze nuove che ti mettessero alla prova in un ambiente nuovo, potenzialmente ostile. Nella vita ho poi avuto la fortuna di trovarmi diverse volte nella condizione di affrontare esperienze nuove, che ti obbligano a ricentrarti - prima nel lavoro giornalistico e poi in quello politico - rispetto al rischio del quieto vivere che diventa rassicurante e pure routine. Anche gli esseri umani possono fare la muffa ed è bene imparare - capisco che è un termine dialettale sdoganato non italiano - a "disciularsi". Una cosa che colpiva nell'Aosta di allora era il fatto che fosse una città con una forte connotazione militare: centinaia e centinaia di giovani, oltre ai quadri dell'Esercito, alimentavano le caserme attraverso la leva militare nel Corpo degli Alpini. Le penne nere invadevano la città: ricordo ancora negli anni Ottanta i giuramenti solenni con il cortile centrale della "Testa Fochi" pieno come un uovo di reclute con le tribune piene di parenti e amici. Io la naja non l'ho fatta, per via di una brutta storia ad un ginocchio che fu operato anni dopo, ma l'aria aostana di allora era imbevuta di alpinità. Mi è capitato in tutta Italia, nei miei contatti, di trovare persone molto diverse fra loro che erano passate ad Aosta per il loro servizio militare e ricordavano con nostalgia quei mesi trascorsi in caserma. Il tempo monda i momenti difficili e consente al buono di restare nella memoria. Il punto di giunzione fra chi era studente come me e i giovani alpini era negli anni Settanta l'osteria di "Papà Marcel", luogo cult per gli alpini nel centro città, dove andavamo a mangiare giganteschi panini imbottiti e un vinello bianco frizzante, che venivano anche presi come asporto quando periodicamente si occupavano le scuole... Poi da deputato ho seguito le pratiche di centinaia di giovani valdostani, specie quando a posto dell'assegnazione domestica finivano distanti con logiche che per altro non ho mai capito. L'incubo era finire in qualche caserma dall'altra parte delle Alpi, tipo confine con l'Austria, o corsi strani, tipo Nocera Inferiore, ma c'era chi si adombrava se finiva nel "Genio ferrovieri" a Torino. La fine della coscrizione obbligatoria, avvenuta dieci anni fa, ha cambiato la situazione di Aosta, facendo venir meno i grandi numeri e pure la leva militare come momento di passaggio verso l'età adulta, con i suoi pro e i suoi contro. Certo per molti era uno sveglia (il "bagno freddo" della premessa...) mica da ridere. Ma soprattutto oggi chi si preoccupa è la "Associazione nazionale Alpini - Ana", che ha una rete fittissima di presenza in Valle d'Aosta, ma che - con gli ultimi coscritti del 1985 - vede nella professionalizzazione delle Forze Armate un destino di scomparsa di questo tipo di associazionismo reducistico dalla grande incidenza di volontariato. Ora si vocifera di soluzioni che consentirebbero a un certo numero di giovani di impegnarsi per un determinato periodo in attività sociali, consentite - per una quota - a giovani del territorio che tornino nelle caserme. Ciò alimenterebbe anche le radici delle truppe alpine, altrimenti destinate a rinsecchirsi per sempre in certe zone un tempo espressione di queste truppe di montagna. Vedremo se questa idea si realizzerà.