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09 nov 2015

La forza della nostalgia

di Luciano Caveri

Questi giorni sono caratterizzati dai colori dell'autunno, stagione che con la Natura che declina simboleggia in qualche modo il decorso della nostra vita. Colori che entusiasmano quando il tempo è bello, come avviene in questi giorni sulle Alpi, perché la tavolozza ha una varietà di tinte che lascia stupefatti, specie se esaltate dall'azzurro del cielo. E anche dal fatto che sulle cime più alte c'è già la neve, che annuncia i geli di quell'inverno, che chiude il ciclo delle stagioni, che poi riparte e si ripete. E questo si incrocia - nella similitudine con il resto del creato - con il ricordo delle persone scomparse, attraverso questo culto dei morti, che è poi nella celebrazione del ricordo una memoria che serve a noi vivi.

Dice su questo momento dell'anno lo scrittore americano Stephen Littleword: «E poi arriva l'autunno con il suo incedere calzante delle ore di luce, i colori che mutano, la natura che risponde ad un richiamo. Mi ricorda che ogni cosa ha il suo tempo, c'è il tempo delle risate, e il tempo della meditazione, c'è il tempo dell'entusiasmo e il tempo della chiusura in se stessi. La natura ci insegna un respiro primordiale, inspirare, espirare... inspirare, espirare. Ogni momento senza fretta, è parte della crescita, è parte necessaria della vita. Le stagioni mi comunicano un ritmo, inspirare, espirare, e se per un attimo mi abbandono a questo nuovo tempo, posso sentire le mie membra rilassarsi... seguire il flusso. E ora che è autunno, espiro... lungamente... per prepararmi ad un nuovo inspiro. Posso sentire la vita, la natura, le cose». Tutto questo è intriso di "nostalgia" una parola con etimologia di derivazione greca. Viene infatti da "nòstos", cioè "tornare a casa, o alla propria terra natale" e "algos", che si riferisce invece al "dolore, alla sofferenza" dello stare lontani. La parola - caso raro - ha un vero e proprio inventore, il giovane alsaziano Johannes Hofer, che nel 1688 inserì questo concetto nella sua tesi di laurea in medicina, presso l’Università di Basilea, come traduzione del tedesco "heimweh - dolore della patria", per definire la malattia che colpiva i soldati svizzeri mercenari, arruolati negli eserciti stranieri. In francese esiste "mal du pays" (quello che hanno ben conosciuto gli émigrés valdôtains), in inglese "homesickness", in portoghese "saudade". "Nostalgia" ha avuto successo ed è uscito dal suo ambito descrittivo di una patologia, così lo "Zingarelli": "desiderio intenso e doloroso di persone, cose, luoghi a cui si vorrebbe tornare, di situazioni già trascorse che si vorrebbero rivivere". Non so dire se la sottolineatura di "doloroso" sia così corrispondente alla mia esperienza. Trovo che la nostalgia, come un sentimento che possa essere imbrigliato e non lasciato a sé stesso, ha elementi utili se impastati con ricordi e memorie che suonano come elemento consolatorio e vivificante. Da questo punto di vista esiste nella cultura della montagna un esempio ancora ben vivente lungo il fil rouge della nostalgia. Si tratta del vasto repertorio dei canti popolari, moltissimi dei quali nati e alimentati nella temperie di quella Prima Guerra Mondiale di cui proprio in questi anni celebriamo i cent'anni. Qui si trovano tutte le sfumature possibili della nostalgia. Quella stessa nostalgia che per la mia generazione è legata alle parole e alle sonorità della lunga stagione dei cantautori, interpreti magistrali di tante nostalgie. Ora che mi sono assuefatto alla circostanza che una parte della rappresentazione dei sentimenti è in capo ai rapper, mi tocca ascoltarli per capire come tiri il vento.