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14 ott 2015

Il dolce oblio di chi non si informa più

di Luciano Caveri

L'oblio (il «dolce oblio», come lo chiamava il poeta Ugo Foscolo) è una grande tentazione di questi tempi. Incontro sempre più persone - davvero insospettabili - che hanno staccato la spina dall'Informazione. Non leggono i giornali, saltano a piè pari i telegiornali, quando navigano su Internet non seguono le news. Solo di fronte a fatti di terribile clamore danno un'occhiatina o sono informati dal passaparola che avviene dappertutto nel commento di quanto successo. Ancora di recente, di fronte a vicende macroscopiche, ho trovato qualche "Alice nel Paese delle Meraviglie" (versione femminile o maschile poco importa) che cascava dal pero, dimostrando vivo stupore, addolcito in fondo dalla loro scelta pseudozen. Per altro, la conferma - nel piccolo della Valle d'Aosta - c'è dal numero calante di copie vendute dai giornali o anche dai dati "Auditel" degli ascolti televisivi, sempre elevati, ma su campioni complessivi che scontano questo abbandono dei media tradizionali e l'affermarsi dei "social". I contenitori televisivi del pomeriggio, per altro, sono un esempio tangibile di una certa lobotomizzazione del pubblico più anziano legato ancora alla televisione: si occupano con eccessivo clamore dei soli casi di cronaca nera, che sono brutture consolatorie, ma che alla fine non portano nulla in più, se non soddisfare un voyeurismo che nulla ha a che fare con l'informazione vera.

Quando parli con certi amici che hanno deciso di diventare "smemorati", il ragionamento che ti fanno è semplice. Si sono stufati di sentire sempre e solo cattive notizie e, visto che la maggior parte di quanto avviene non è soggettivamente modificabile, allora meglio far calare una coltre di nebbia e pensare ad altro nell'ambito più ristretto del proprio giardinetto personale. Le difese, in questo caso, possono essere di vario genere, dal tono di condanna ferma di questo disimpegno dalle cose del mondo alla moral suasion che dovrebbe spingere la pecorella smarrita a riattaccare la spina. Ma la risposta, più o meno garbata, è sempre la stessa: «ma chi ce lo fa fare?». E conta poco infervorarsi sulla lucidità che deve sempre avere qualunque cittadino in una visione che corrobori il proprio impegno civile, perché se non sai, se non ti informi, se non fai le giuste connessioni fra i fatti rischi di finire facilmente in un sacco. Non c'è nulla di peggio dei "muri di gomma", perché se sbatti rimbalzi su di una convinzione che si è fatta virale. Eppure questa storia della cittadinanza consapevole, persino appunto dell'impegno civile che è uno scatto in più, ha corroborato la mia vita, ben prima che il Caso mi facesse incrociare con la politica. Il desiderio di sapere sarebbe fine a sé stesso se si occupasse solo del Sapere e non delle implicazioni che qualunque tipo di conoscenza ha sullo svolgimento della vita quotidiana, compresa quella cittadinanza riempita di contenuti senza la quale la democrazia diventa un vaso vuoto con una folla di elettori ondivaghi, che seguono la figura carismatica di turno, alimentando come pedine il rischio di uno svuotamento pure dei meccanismi di partecipazione, come il voto. L'astensionismo diventa così, nel pannello di controllo della democrazia, una luce rossa accesa ad indicare il pericolo che certi principi della rappresentanza finiscano per svaporare, senza ben sapere che cosa potrebbe venire in cambio, se non la solita tentazione autoritaria. Significativo, in questo senso, per quanto sia stato sepolto dalla critiche, quel che ha detto tempo fa in Francia il giovane e rampante ministro dell'economia francese Emmanuel Macron, che ha sostenuto con chiarezza che accedere alle funzioni politiche più elevate attraverso le elezioni sarebbe «un cursus d'un ancien temps». E' vero che, nel caso italiano, per l'incarico di presidente del Consiglio dei Ministri, come è avvenuto per Matteo Renzi, c'è stata cooptazione senza voti (ma con i voti di fiducia del Parlamento), ma è ormai un'eccezione rispetto ai modelli delle democrazie mature. Insomma: la logica dell'eremitaggio informativo può solo creare dei mostri, perché chi si disinteressa alla fine non potrà lamentarsi di non aver saputo.