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08 ott 2015

La tentazione

di Luciano Caveri

Ci sono dei ricordi sepolti che di tanto in tanto rivivono. Così mi è capitato ogni volta che mi trovo nel grande complesso della "Prevostura" di Verrès, la chiesa della mia infanzia. Il descrittivo della nascita di queste costruzioni in pietra, che mostrano l'importanza del paese nel passato, viene ben descritta nel sito del Comune e ne traggo solo un pezzettino: "Una tradizione non storicamente provata fa risalire la fondazione del convento di Saint-Gilles (Sant'Egidio) al 912, attribuendola a Gisella (Egidia), moglie di Adalberto I, marchese di Ivrea, e figlia di Berengario I, re d'Italia e, dal 915 al 923, imperatore. Un'altra tradizione ne sposta la fondazione alla fine di quello stesso decimo secolo e la attribuisce ai marchesi di Monferrato. In realtà i canonici di Saint-Gilles di Verrès sono citati per la prima volta in un documento redatto verso il 1050. Ad ogni modo la loro presenza a Verrès attorno all'anno Mille e la loro denominazione sono una testimonianza dei legami politici, culturali e religiosi che univano la Valle d'Aosta alla Provenza. Entrambe queste regioni fecero infatti parte, dal 934 al 1032, del Regno di Arles, detto anche Secondo Regno di Borgogna. E proprio nella zona di Arles - tra l'ottavo ed il nono secolo - Sant'Egidio (Gilles) era vissuto ed aveva diretto un monastero".

Interessante il passaggio sui legami con la Provenza e questo vale per tutto l'"autour de nous" e questo semplice esempio dovrebbe scoraggiare chi, senza coscienza della Storia, pensa che gli Stati nazionali siano da sempre l'unica e perenne costruzione istituzionale. Ma dicevo dei luoghi della mia formazione cattolica: c'erano due posti dove si faceva catechismo. Uno era una stanza nel cuore della costruzione principale e con le abitazioni dei preti, dove campeggiavano dipinti e mobili antichi, l'altro in un caseggiato più recente. Quando ci passo mi vengono dei flash di quel tempo e di come partecipare al catechismo, in particolare per prepararsi alla Comunione, fosse un fatto molto delicato nell'approccio con noi bambini, posti di fronte alla vastità di un mondo religioso complesso e difficile. Ricordo che, proprio in occasione della Comunione, la viva preoccupazione era che il Vescovo di allora - di cui all'epoca non conoscevo le forti implicazioni politiche del suo apostolato nelle vicende del dopoguerra - Maturino Blanchet potesse porci delle domande prima della cerimonia, che potessero implicare, in caso di risposta errata, l'essere esclusi dal sacramento. Naturalmente non chiese nulla a nessuno, essendo l'impiego della minaccia niente altro che uno stimolo. Ma, se penso ad allora, uno dei temi che più lacerarono il mio animo infantile erano proprio queste immagini evangeliche della tentazione e cioè quell'indurre al peccato (che deriva dal plastico passo falso, quando si mette male un piede), che mi metteva vagamente a disagio, perché incapace di una piena comprensione dei peccati e della loro varietà, compreso il distinguo sempre angosciante fra "mortale" e "veniale". Eppure questo della tentazione è un bel tema, partendo dal quel «non ci indurre in tentazione» del "Padre Nostro", che ricordo essere stata una traduzione maldestra, essendo un più probabile - nel rapporto con l'Altissimo, che non dovrebbe farci delle "trappole" - uno speranzoso «non lasciarci cedere alla tentazione». Oggi la mia innocente tentazione sarebbe, ma poi il pensiero non coincide con il mio animo combattente, chiudermi almeno di tanto in tanto in una bolla di sapone per astrarmi da troppe cose brutte e da certo conformismo. Poi me la rido, pensando alla celebre e agra frase di Indro Montanelli: «La servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi». E mi viene da aguzzare lo sguardo ed è bello pensare che l'impegno civile scaldi il cuore.