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24 set 2015

Il voltagabbana e la sua coscienza

di Luciano Caveri

Le vie della critica in politica sono infinite ed i "social" oggi sono il posto in cui - scrivendo tutti in libertà ed a pari condizioni - se ne leggono di tutti i colori e viene talvolta in mente la polemica di Umberto Eco, quando su certi limiti del Web disse in una conferenza universitaria a Torino: «I "social media" danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un "Premio Nobel". E' l'invasione degli imbecilli». Apriti cielo: al noto semiologo arrivarono critiche al vetriolo e accuse di lesa democrazia e di élitarismo da intellettuale snob. Basta fare un giretto sulla Rete, anche in Valle d'Aosta, per rendersi conto che spesso l'apparente insulto è una semplice constatazione. Per altro, immagino che la stessa idea se la farà qualcuno a cui non piacciono le cose che scrivo io stesso e dunque bisognerebbe sempre vivere la propria presenza in Rete con autocritica e un pizzico di divertissement. Ognuno è per un altro un potenziale imbecille.

Ci pensavo rispetto a certe riflessioni che spesso appaiono sul fatto che in politica ci siano banderuole, camaleonti, opportunisti, traditori. Così si definiscono quelli che a un certo punto cambiano idea. Io trovo giusto usare l'antica espressione "voltagabbana", che deriva dal nome con cui era chiamato il soprabito largo e lungo, senza cintura, spesso con cappuccio ed a volte foderato di pelliccia, che in passato era indossato principalmente dai militari, ma anche per lavoro da operai e contadini: la "gabbana" appunto, derivazione di "gabbano", che viene dall'arabo "qabā, lungo soprabito". La "gabbana" poteva essere rivoltata (era cioè "double face") ed indossata anche al rovescio, motivo per cui i militari che disertavano l'esercito, utilizzavano questo stratagemma per non essere riconosciuti durante la fuga. Così si usa il temine "voltagabbana" per indicare, con una connotazione negativa, qualcuno che cambia spesso e con leggerezza opinione o atteggiamento, per ottenere vantaggi personali. Quest'ultimo distinguo è molto interessante, a proposito dell'uso del salutare esercizio di autocritica. Vedete: quando me ne sono andato dall'Union Valdôtaine per aderire all'Union Valdôtaine Progressiste mi sono sentito rivolgere epiteti e insulti, specie sui "social" e specie da chi coraggiosamente si nasconde dietro ad un nomignolo (oggi "nickname"), grossomodo del tipo di improperi come quelli citati poche righe fa. Ma, rispetto ad altri casi, penso che vi siano almeno due aspetti da rimarcare. Il primo è che non ho ottenuto vantaggi personali, anzi. Per cui sarebbe interessante, per chi gioca con il fuoco delle polemiche, operare questo primo distinguo: chi ha cambiato schieramento o posizione lo ha fatto ottenendo dei vantaggi? La risposta alla domanda è semplicissima ed è piuttosto difficile barare. Il secondo: il cambiamento implica una modifica profonda del proprio modo di pensare, l'adesione ad idee prima aborrite, la scelta di allearsi con persone prima considerate impossibili? Anche in questo caso, specie grazie alla memoria della Rete, è abbastanza facile ottenere le risposte necessarie. Intendiamoci: cambiare posizioni, maturare convinzioni diverse, accorgersi di avere sbagliato o di avere frequentato persone che si sono dimostrate diverse da quel si ritenesse fossero appartiene sempre e comunque alla sfera delle possibilità. Anzi dirò di più: ci sono circostanze in cui uno deve cambiare per essere coerente con sé stesso e con il proprio percorso personale e politico, perché il tradimento sarebbe restare. Ma quel che è ridicolo è quando si cerca artatamente di avvolgere certe decisioni di fumisterie di vario genere. Ci vorrebbe quella che pomposamente si può chiamare "onestà intellettuale". Basti leggere quel bel libro autobiografico di Davide Lajolo "Il voltagabbana" del 1963, che racconta della sua storia personale, visto che da "Volontario del littorio" nella Guerra di Spagna nel 1937, quindi "fascistissimo", diventa poi Ufficiale dell'Esercito Regio sui fronti greco e albanese, per poi assumere l'incarico di segretario federale del Partito Nazionale Fascista ad Ancona, approdando alla lotta partigiana nelle natie colline astigiane e nelle formazioni garibaldine, dopo l'8 settembre del 1943, con l'emblematico nome di battaglia di "Ulisse". Diventa così comunista, direttore dell'"Unità" e per molti anni sarà parlamentare del Partito Comunista Italiano, attraversando vicende cardine come l'invasione sovietica dell'Ungheria, la "primavera di Praga" o il mito della Cina maoista. Scavare nella propria vicenda umana e politica è sempre un esercizio prezioso ed in fondo vale la frase di Honoré de Balzac: «Notre conscience est un juge infaillible quand nous ne l'avons pas encore assassinée».