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18 set 2015

Carte geografiche e navigatori satellitari

di Luciano Caveri

La modernità non può essere rifiutata, specie l'evoluzione tecnologica che ci semplifica la vita, con l'avvertenza però che bisogna sempre stare in guardia, perché - come nel resto della vita nei momenti di passaggio - come dice il proverbio: "chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quel che perde ma non sa quel che trova". Descrizione adatta al tema odierno... Se penso ad alcuni viaggi in moto da ragazzo, tipo un tour nel Sud della Francia o sino in Calabria lungo l'intera Penisola, o a certi successivi itinerari in auto, come nell'ex Jugoslavia o in giro per la Svizzera, mi chiedo francamente come diavolo si facesse a muoversi lungo itinerari sconosciuti e complicati senza l'aiuto dei navigatori satellitari. E' vero che un classico omaggio dei benzinai erano le cartine geografiche, che erano opere colossali nella copertura del territorio europeo, ma penso come ad incubo - per non dire delle mappe urbane che capita ancora di consultare per muoversi a piedi - certe soste per capire dove diavolo si fosse finiti, mentre si cercava il campeggio o l'alberghetto.

Oggi ci soccorrono da un lato i satellitari da auto e dall'altro i sistemi da portatile georeferenziati. Con l'evidenza che non sempre sono risolutori. I navigatori rimbambiscono facilmente non riconoscendo strade nuove o certi mutamenti di viabilità, senza dire di quel mio conoscente che per un pelo non ha iniziato a scendere in auto da una scalinata a Roma, scambiata dal marchingegno per viabilità ordinaria. Idem per un amico che si è trovato in una zona pedonale di una città della Svizzera tedesca, avendo il vantaggio di non capire le imprecazioni in Züritüütsch che gli tiravano dietro. Sul mio navigatore, che pure è frutto di importante marca teutonica, non esiste il traforo del Monte Bianco come non fosse stato scavato mezzo secolo fa, anche se poi in realtà l'apparecchio "sa" che in qualche modo a Chamonix ci si arriva, però non sa dire come. Ci sono poi problemi con l'italiano, tipo la voce femminile che mi accompagna quando adopera un drammatico «abbandonare la rotatoria» che ti mette in apprensione o come non ricordare lo scocciato «se possibile fare inversione di marcia» quando sbagli. Peggio ancora con i sistemi sui telefoni portatili che, specie all'estero, scontano il fatto che il roaming internazionale costa un occhio della testa o esiste una cattiva copertura del segnale e dunque al momento opportuno app come "Google Maps" ti lasciano senza suggerimenti e ti trovi in difficoltà. Ma le carte geografiche non sono solo, per fortuna, da apprezzare per la loro utilità. Penso alla curiosità creata è sempre alimentata di sistemi come "Google Earth", che ti fanno vedere il mondo dall'alto e pure con sistemi con nostalgia tridimensionali. Oppure penso alle carte geografiche sui muri delle scuole elementari o alle cartine del mondo intero di straordinari atlanti geografici che mi avevano regalato da bambino, così come ad un bellissimo mappamondo in plastica autoilluminato. O a certe mappe dell'Europa, trovate a Budapest ed a Vienna, che riportavano il territorio valdostano, frutto del retaggio delle fondamentali mappe militari. La prosa secca di Dino Buzzati può soccorrere con la sua precisione: «La carta geografica, insomma, anche se statica, presuppone un'idea narrativa, è concepita in funzione d'un itinerario, è un'Odissea». Il viaggio, per fortuna, non dev'essere come le vicissitudini spesso amare e dolorose di Ulisse o come la pericolosa esperienza così attuale di chi fugge altrove, ma può - perché chi ha la possibilità di sceglierlo - un'occasione unica per confrontarsi e capire gli altri, scoprendo la straordinaria varietà del nostro Mondo e godercelo quando possibile e laddove possibile. La carta geografica, cartacea o digitale, resta una compagna di viaggio.