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10 giu 2015

Qui diventa tutto liquido

di Luciano Caveri

Se lo dice Umberto Eco, vale la pena di leggere - ed ho cominciato a farlo - "Stato di crisi" ("Einaudi", 18 euro), in Zygmunt Bauman (notissimo sociologo tedesco, che ha inventato la definizione "società liquida") e Carlo Bordoni, sociologo anche lui. Eco, alessandrino classe 1932, è un semiologo e scrittore di fama internazionale, che - con una rubrica su "L'Espresso" - scandaglia, passando da temi serissimi ad argomenti divertenti, il mondo in cui vive. Lo fa con il bagaglio di una cultura enciclopedica ma con grande freschezza, a dimostrazione che per alcuni l'età non conta e l'esperienza spesso fa la differenza. Ma dicevo del tema affrontato questa settimana, venendo al nocciolo della questione: «Per Bauman tra le caratteristiche di questo presente in stato nascente si può annoverare la crisi dello Stato (quale libertà decisionale rimane agli Stati nazionali di fronte ai poteri delle forze supernazionali?). Scompare un'entità che garantiva ai singoli la possibilità di risolvere in modo omogeneo i vari problemi del nostro tempo, e con la sua crisi ecco che si sono profilate la crisi delle ideologie, e dunque dei partiti, e in generale di ogni appello a una comunità di valori che permetteva al singolo di sentirsi parte di qualcosa che ne interpretava i bisogni».

Poi lo scenario si fa sempre più interessante: «Con la crisi del concetto di comunità emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno, da cui guardarsi. Questo "soggettivismo" ha minato le basi della modernità, l'ha resa fragile, da cui una situazione in cui, mancando ogni punto di riferimento, tutto si dissolve in una sorta di liquidità. Si perde la certezza del diritto (la magistratura è sentita come nemica) e le uniche soluzioni per l'individuo senza punti di riferimento sono da un lato l'apparire a tutti costi, l'apparire come valore e il consumismo. Però si tratta di un consumismo che non mira al possesso di oggetti di desiderio in cui appagarsi, ma che li rende subito obsoleti, ed il singolo passa da un consumo all'altro in una sorta di bulimia senza scopo (il nuovo telefonino ci dà pochissimo rispetto al vecchio, ma il vecchio va rottamato per partecipare a quest'orgia del desiderio)». Poi gli aspetti politici che sono illuminanti: «Crisi delle ideologie e dei partiti: qualcuno ha detto che questi ultimi sono ormai taxi sui quali salgono un capopopolo o un capobastone che controllano dei voti, scegliendoli con disinvoltura a seconda delle opportunità che consentono - e questo rende persino comprensibili e non più scandalosi i voltagabbana. Non solo i singoli, ma la società stessa vive in un continuo processo di precarizzazione». Le conclusioni sono un punto interrogativo: «Che cosa si potrà sostituire a questa liquefazione? Non lo sappiamo ancora e questo interregno durerà abbastanza a lungo. Bauman osserva come (finita la fede di una salvezza proveniente dall'alto, dallo stato o dalla rivoluzione), sia tipico dell’interregno il movimento d'indignazione. Questi movimenti sanno che cosa non vogliono ma non che cosa vogliono. E vorrei ricordare che uno dei problemi posti dai responsabili dell'ordine pubblico a proposito dei "black block" è che non si riesce più a etichettarli, come poteva avvenire con gli anarchici, coi fascisti, con le "brigate rosse". Essi agiscono, ma nessuno sa più quando e in quale direzione. Neppure loro. C'è un modo per sopravvivere alla liquidità? C'è, ed è rendersi appunto conto che si vive in una società liquida che richiede, per essere capita e forse superata, nuovi strumenti. Ma il guaio è che la politica e in gran parte l'intellighenzia non hanno ancora compreso la portata del fenomeno. Bauman rimane per ora una "vox clamantis in deserto"». Interessante è soprattutto la considerazione su quei movimenti politici che sanno cosa non vogliono ma non che cosa vogliono. Spesso cavalcare la protesta è più facile che trovare le soluzioni. Nel piccolo della Valle d'Aosta questo processo globale vuol dire interrogarsi su come fenomeni di questa portata pesino sul futuro della comunità, sulla sua identità e sull'Autonomia del nuovo Millennio. Altrimenti saremo solo come un ramo trascinato dalla corrente.