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10 mar 2015

La paralisi al Casinò di Saint-Vincent

di Luciano Caveri

Osservo da anni ormai, con crescente tristezza e inquietudine, l'andamento del Casinò di Saint-Vincent, che sarebbe meritevole di grandi approfondimenti, non solo giornalistici. Condivido a questo proposito la scelta dell'Union Valdôtaine Progressiste di abbandonare il tavolo della "task force", cioè quel gruppo di lavoro con i capigruppo del Consiglio Valle, che avrebbe dovuto - al capezzale del grande malato - creare una logica super partes a fronte dell'estrema delicatezza della situazione. Ma in questo caso, come più in generale nella medesima filosofia di un ponte su temi decisivi fra maggioranza e opposizione, i conti non sono tornati e anzi il rischio era che questa "task force" (termine militaresco che, per altro, sarebbe meglio evitare) finisse in fondo per essere avvertita come un inciucio che consentisse a chi sbaglia di ottenere una condivisione degli errori compiuti anche con chi, di fatto, nella cabina di comando non ci sta. Una sorta di "effetto Schettino" che finisse per mettere sullo stesso piano chi si trova sulla tolda a decidere le manovre e va a sbattere sullo scoglio all'Isola del Giglio con la nave "Concordia", e chi, invece, si trovasse altrove dentro la nave al momento dell'impatto e venisse accusato, paradossalmente, di condividere le scelte operate da chi comanda. E' bene, invece, anche a futura memoria, si distinguano le responsabilità.

Il Casinò va male e fa persino tenerezza la "fuga di notizie" che cerca di minimizzare la tragedia con cenni di ottimismo di Bilancio infinitesimali, che in una società privata avrebbe già cagionato un cambio ai vertici e che invece per adesso alla Casa da gioco non c'è stato, e questo riempie anche il più ingenuo fra gli osservatori di interrogativi sul perché chi sbaglia non paghi. Chi aveva visto arrivare la "tempesta perfetta", che poteva mettere a repentaglio l'esistenza stessa del Casinò, aveva per tempo lanciato ogni sorta di allarme. Ma era stato in sostanza bollato come allarmista o disfattista. Mai l'umiltà di dire «abbiamo sbagliato». Anzi, ogni volta quanto scritto nei documenti programmatici non viene ottenuto, si fa finta di niente e si "tira a campà" in una logica di sopravvivenza in attesa di chissà quale miracolo. E si trovano le giustificazioni le più fantasiose per coprire il vuoto pneumatico di azioni concrete per invertire la tendenza e viene persino il dubbio che alla guida non ci sia più nessuno. Quando c'erano i lavori in corso (su cui chissà che un giorno non si farà una bella "expertise" esterna), si annunciava un dopo roseo e pieno di promesse. Poi sono arrivati, come elemento salvifico, i cinesi d'importazione che da Macao avrebbero cambiato tutto. Oggi non si sa bene a quale Santo votarsi, ma l'impressione è che neppure andando a Lourdes si potrebbe cambiare una situazione comatosa di mancanza d'iniziativa e di rilancio. Non ci si sforza neanche di scrivere dei romanzi sul futuro, ma ci si limita a poche paginette che sembrano pensieri da "Baci Perugina". Brevi cenni sull'infinito, quando invece ormai tutto sembra finito. Non bisogna, tuttavia, cedere alla tentazione di conformarsi a questa veglia funebre, perché il Casinò può essere ancora elemento di sviluppo a patto di capire che cosa si vuole essere e dove si voglia andare. Altrimenti davvero non si capisce la ragione di tale paralisi rassegnata e sonnacchiosa, che si occupa più degli esercizi di quadratura del cerchio del Bilancio per dimostrare che «eppur si muove!» piuttosto che avere speranze e ambizioni.