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06 feb 2015

Troppe morti sotto le valanghe

di Luciano Caveri

Sei morti in Francia nel Queyras e cinque in Svizzera nei Grigioni sono stati i casi più eclatanti della cronaca recente di gruppi investiti dalla valanga, che testimoniano anche in questa stagione invernale uno stillicidio di morti. E va ricordato che solo la velocità dei soccorsi e tecnologie di rilevamento di chi finisce sotto la neve - come l'"Arva" o altre marche commerciali - evitano numeri ancora peggiori. Tocca constatare che i bollettini valanghe sempre più minuziosi e credibili, così come gli appelli alla prudenza circostanziati cadono ancora troppo spesso nel vuoto e leggendo i giornali, nei commenti dopo le tragedie, ci si trova generalmente di solito di fronte ai soliti commenti di amici e parenti. Del genere: «era esperto e prudente, non capiamo cosa sia successo». Questo vale, in special modo, quando a morire sono delle guide alpine e dunque persone che hanno obblighi professionali della massima cautela nell'accompagnamento. Anche se - è bene ricordarlo - il "rischio zero" in montagna non esiste. A Dicembre l'Accademia della Montagna del Trentino ha organizzato su questa vicenda luttuosa, che continua a colpire, un convegno intitolato in parte provocatoriamente: "Matti per la neve. La percezione e la prevenzione del pericolo da valanga". Trovate le registrazioni degli interventi su questo sito ed è molto interessante.

Così l'Accademia presentava l'iniziativa: "Bollettini delle neve, valutazioni di rischio valanghe, informazioni diramate dal Web, da radio e televisioni e dalla carta stampata. Uso della tecnologia, miglioramento della capacità di autosoccorso. Sembrerebbero soluzione adeguate, le migliori in assoluto per evitare gli incidenti nell'ambiente della montagna innevata. Eppure non basta. La gente continua a rimanere vittima della caduta di valanghe. Anzi, a causa dell'aumento di sci alpinisti e ciaspolatori (sulle Alpi i patiti delle racchette da neve contano 410mila praticanti, mentre lo scialpinismo vanta circa 200mila appassionati) il numero degli incidenti è costante in aumento, anche se il numero dei decessi, grazie anche alla preparazione e all'utilizzo di nuovi e più appropriati strumenti, è sceso rispetto al passato. Tuttavia - cosa che fa riflettere - tra le vittime compaiono anche guide alpine e professionisti della montagna". Poi si aggiunge: "Un recente studio, voluto e finanziato dall'Accademia della Montagna, all'interno di un progetto pluriennale dedicato al rischio valanghe che ha coinvolto a vario titolo le università di Trento, Padova e Verona, oltre alla "Fondazione Bruno Kessler", ha evidenziato due importanti errori cognitivi rilevabili nel comportamento di quanti decidono di esporsi a situazioni pericolose: l'overconfidence, cioè la convinzione di sapere più di quanto effettivamente si sappia, e l'attitudine al "risk taking", ovvero la propensione a mettere in atto comportamenti rischiosi. Nel primo caso, a detta dei ricercatori, l'errore sarebbe imperniato sull'illusione di poter tenere sotto controllo eventi del tutto accidentali, ed inoltre denuncia un eccesso di sicurezza e la pretesa di aver assimilato una conoscenza approfondita dell'ambiente montano. Nel secondo caso, l'errore sarebbe dovuto alla sottovalutazione della probabilità che si possa incorrere in eventi negativi, ma anche alla propensione individuale a mettere in atto comportamenti a rischio". La conclusione è semplice e assieme disarmante: "Dunque, secondo i risultati dello studio intrapreso dall'Accademia della Montagna, il comportamento di parte dei frequentatori della montagna invernale a scopo ludico deve essere messo in relazione ciò che avviene nella mente delle persone in determinate situazioni, e avrebbe luogo indipendentemente dalle informazioni in possesso, che oggi risultano essere assai attendibili nel merito. La ricerca ha inoltre dimostrato che più del 70 per cento degli escursionisti della montagna invernale risulta "overconfident" e perciò inconsapevole dei rischi assunti". Chi andrà a sentire le registrazioni sentirà i diversi punti di vista. Io osservo solo questo: nel caso italiano il "Soccorso alpino" rientra di fatto nelle spese sanitarie gratuite. Solo se sia dimostrabile - e non è sempre facile farlo - l'impropriatezza della richiesta di soccorso per ragioni mediche scatta, almeno in Valle d'Aosta, una tariffa risarcitoria. Questo significa che, senza discutere la libertà dei singoli di affrontare rischi e pericoli perché connessi alle diverse pratiche sportive in montagna, si carica lo Stato sociale di costi molto elevati e talvolta si mette a rischio la vita dei soccorritori. In parte gli obblighi assicurativi possono supplire ai problemi delle spese, ma resta comunque - almeno a tutela della propria vita - la necessità di avere più sale in zucca, poi sull'imponderabile non si può certo discutere.