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07 gen 2015

Mutua e assenteismo

di Luciano Caveri

Tocca di tanto in tanto seguire il flusso di notizie, sapendo che ci sono argomenti che sono come i fiumi carsici, che spariscono sotto terra e poi riappaiono con clamore e si impadroniscono della scena per qualche giorno, per poi finire nel dimenticatoio. "Mettersi in mutua". L'espressione è antica e ormai, per l'abuso di quella che si chiama più propriamente "indennità di malattia", il termine rischia di diventare sgradevole. Il casus belli di queste ore è l'assenteismo, nelle pieghe delle norme, dei Vigili urbani di Roma, ma emergono a questo punto dati vari, più o meno impressionanti, sull'uso distorto e persino truffaldino del diritto. Ho visto in televisione un sindacalista dei "Pizzardoni" (così si chiamano i membri della Polizia municipale romana, perché, partendo da un tipo di beccaccia, la "pizzarda", così venne chiamata la feluca a due punte portata dalle guardie municipali nel XVIII secolo), che in una democrazia normale dovrebbe essere preso a calci nel sedere, quando difende l'indifendibile e sostiene che i Vigili urbani romani sono i più efficienti d'Europa. Bum! Diciamoci la verità: ognuno di noi conosce abusatori professionisti che ledono con il loro comportamento un principio importante con un legame luciferino con il medico curante. Su questo non ci può essere accettazione, pur rendendomi conto che non è sempre facile, del comportamento di certi medici, che diventano dei "bancomat" dei certificati. Ordine professionale - se ci sei e servi a qualcosa - batti un colpo! Questi comportamenti paziente-medico gettano discredito verso una parola che aveva una sua nobiltà, derivando dalla parola "mutuo" (comune, reciproco), che deriva dal latino "mutŭus - dato in prestito, scambievole, reciproco". E' il termine "mùtua" risale non a caso al 1869, da "cassa, società mutua", quando i lavoratori - ci sono esempi storici anche in Valle d'Aosta - si unirono, in una logica appunto mutualistica, per organizzare sistemi di tutela di fronte alle malattie, agli incidenti, alla morte e per creare altri meccanismi previdenziali. Oggi la parola viene così descritta dalla "Treccani": "Con significato più ristretto, nell'uso comune ogni istituzione che gestisce le assicurazioni sociali, soprattutto per ciò che riguarda l'assistenza contro le malattie, a favore di lavoratori dipendenti o anche privati (istituzione oggi in gran parte confluite in un unico organismo, il "Servizio sanitario nazionale", dal quale dipendono i diversi organi periferici, le cosiddette "Usl", o "Unità sanitarie locali", successivamente trasformate in "Asl", o "Aziende sanitarie locali"). Di qui l'origine di espressioni largamente diffuse e in gran parte persistenti nell'uso anche se non più attuali: iscriversi alla mutua, avere la mutua, iscriversi o essere iscritto in un istituto previdenziale e goderne i benefici; mettersi in mutua (in passato, mettersi in "cassa malattia"), farsi riconoscere, con dichiarazione del sanitario di una mutua, malato e temporaneamente inabile al lavoro; un intervento pagato dalla mutua, cioè dal "Servizio sanitario nazionale"; medico della mutua, medico che presta la sua opera in un ente assistenziale (e che ora ha ripreso il vecchio nome di "medico di famiglia")". Non si tratta, dunque, né di generalizzare ingiustamente né di montare una "caccia alle streghe" (Renato Brunetta, da ministro della Funzione pubblica, aveva imboccato questa strada, ma qualche risultato era pure arrivato contro i furbetti), ma non si può neppure far finta di niente con chi abusa di un diritto e pianifica la propria vita con l'aiutino di assenze immotivate. Perché il rischio di questi tempi di decisionismo a furor di popolo è quello già visto: buttar via il bambino con il pannolino (che mi sembra meglio dell'acqua sporca...).