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11 set 2014

I venti di guerra

di Luciano Caveri

A me questi venti di guerra che soffiano sul mondo e anche in Europa, dunque così vicino, preoccupano. Per altro, il "caso ucraino", con i russofoni cavalcati da Vladimir Putin - zar con il suffragio universale... - è una sorta di vendetta verso un'Unione europea, che dopo la fine dell'Unione sovietica aveva cominciato il cammino di liberazione di Paesi prigionieri del comunismo da "cortina di ferro". Ma il leader russo non solo ha fermato l'avanzata politica in Ucraina, ma spaventa ora Paesi neocomunitari, come Polonia e Stati Baltici, che diventano "ultima frontiera" e territorio per ulteriori basi "Nato" per mostrare i muscoli dell'Occidente, pesando intanto con un embargo con rischi di ritorsione (leggi metano per le nostre forniture e persino soggiorni turistici russi sulle Alpi). Chi ha vissuto il clima della "guerra fredda", come ha fatto chi è cresciuto in quegli anni, ha consapevolezza - non solo sui libri di storia, ma con l'immediatezza della cronaca vissuta - degli andirivieni di minacce e riavvicinamenti. Si confidava sempre sul buonsenso e anche sulla consapevolezza che la guerra nucleare non offre soluzioni, che non siano la distruzione di parte dell'umanità. Questo è stato un vaccino contro molte paure, come un congelamento obbligato degli ardori, ma molti segnali oggi preoccupano lo stesso. Basta guardare a quante guerre si diffondono e notare come il ben noto "caso balcanico" suoni come un ammonimento, perché la guerra nei Balcani esplose e si sviluppò come un incendio, al di là di ogni ragionevole previsione e nel cuore del Vecchio Continente, che pareva immunizzato. Questo fatto di non indulgere a facili ottimismi viene, per altro, dalla molta casistica della storia in tutto il suo svolgimento e pure i meccanismi delle guerre mondiali - che ormai abbiamo montato e rimontato e che conosciamo perciò bene - sono da prendere molto sul serio. Ci sono elementi che una volta finiti sullo scivolo degli avvenimenti portano tutto sino in fondo con una forza di gravità che si crea per un concatenamento di fatti, che finisce per travolgere ogni preconizzata ragionevolezza. Non bisogna tornare troppo indietro per capire quanto sulla carne di ciascuno di noi, quale frutto delle precedenti generazioni, risulti ancora - stampato chissà dove nei complessi meccanismi del nostro "dna" - il segno della guerra. Non si tratta di andare a chissà quale epoca: nel mio caso sono ancora i genitori, per i più giovani sono i nonni o i bisnonni. La guerra, nell'insieme di ricordi e memorie che ancora aleggiano su di noi, non è una bestia feroce costretta per sempre altrove, in altre parti del pianeta. Già la rapidità delle notizie e persino il flusso dolente di gran parte dei migranti ci danno conto di quelle guerre distanti e talvolta persino vicine, ma quegli scenari di battaglie e di stragi - pensiamo all'estremismo islamico e alla sua follia - sono come un virus che si diffonde anche in mezzo a noi, creando scenari di paura, evocabili con una sola data: 11 settembre. Minacce nuove di un terrorismo ideologico e religioso che cambia pelle come un camaleonte e a cui si aggiunge la preoccupante incapacità degli Stati di cancellare le "guerre tradizionali", come le vicende ucraine dimostrano appunto a due passi da noi e dalla nostra tranquillità, sempre più apparente.