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14 ago 2014

Se la riforma costituzionale è una retromarcia

di Luciano Caveri

Che cosa io pensi nel dettaglio della riforma costituzionale l’ho già detto. Si tratta di un provvedimento scritto male, pieno di contraddizioni e che nulla ha a che fare con le riforme che l’Europa chiede all'Italia. Come se uno ti dicesse: «devi andare in vacanza al mare» e tu andassi in montagna. Poi, per carità, Mario Draghi che dalla "Banca centrale europea" profetizza che le riforme strutturali vadano fatte dando all'Europa dei "compiti forti", togliendo sovranità agli Stati (figurarsi che fine farebbe il livello regionale…), mi conferma davvero che - così dicendo - abbia invaso un terreno politico non suo. Questo allontana, nel nome di un disegno economicistico, sempre di più l’Europa da un orizzonte federalista e fa della proclamata "sussidiarietà" una barzelletta con cui divertirsi ogni tanto. Ma torniamo al punto: l’impressione è che se ne parlerà ancora a lungo di questa riforma, per cui non voglio tediarvi sul merito ma sul metodo. Segnalo solo che in Valle d’Aosta bisogna leggerselo bene per capire a fondo i pro e i contro e, essendo materia di cui mi sono sempre occupato e di cui credo di avere discreta competenza, noto la presenza di “trappoloni” di cui è bene parlare. Benissimo che ci sia la "logica dell'intesa" su uno Statuto prossimo venturo applicativo della riforma di cui parliamo (però la previsione non c'è nel 116 novellato ed esiste solo nella norma transitoria), ma sia chiaro che questo non cambia un quadro di mortificazione del regionalismo e dunque ci pensi bene a gioire chi ha cominciato a fare la "ola". Per altro, vige l’articolo 138 della Costituzione, che i Costituenti veri - non quelli "in erba" attuali - avevano scritto in modo davvero comprensibile. "Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti". Insomma: chi oggi fa trionfalismi sul primo voto del Senato furbeggia, compresi gli abbracci nell'aula del Senato accettabili forse in uno stadio di calcio, perché il cammino è lungo e la procedura complessa. A naso si andrà al referendum per il Governo e la sua maggioranza multicolore (tra breve arriverà anche Silvio Berlusconi a dare un appoggio pieno) e non sarà una passeggiata, anche perché per Matteo Renzi, aggiungendoci i risultati economici negativi, è ormai finito quel periodo che gli americani chiamano, per i Presidenti americani, "honeymoon - luna di miele", cioè il momento magico "post elezioni" (nel caso di Renzi "post nomina"), in cui tutto è permesso per l’entusiasmo dell’opinione pubblica. Per cui sento odore di ballon d'essai, cioè di un tentativo pure goffo di vedere l'effetto che fa sui venti mutevoli dell'umore dell'opinione pubblica. Dicevo del metodo: quel che ha caratterizzato il clima dei lavori parlamentari sono stati la fretta e il regolamento di conti. La fretta perché ci si è posti, in maniera del tutto artificiale, questa data di agosto entro la quale chiudere la partita, come se questioni di questo genere potessero accettare dei diktat, che paiono più delle impuntature o dei capricci. Una prova muscolare come regolamento di conti con chi fa opposizione. In questo senso, la scelta di operare la "tagliola" e poi di usare il "canguro", metodi per accelerare il lavoro e sfoltire il numero di emendamenti palesemente usati per contrastare il legittimo ricorso all'ostruzionismo parlamentare, non è certo stato una scelta da "clima costituente". Aggiungo che chi oggi stigmatizza l’opposizione ha fatto ricorso in passato molto spesso agli stessi metodi, per cui certe affermazioni di censura andrebbero fatte con cautela e un pizzico di memoria. Quando cioè, per un "risultato superiore", si smussano gli angoli per trovare soluzioni che diano quelle forti maggioranze richieste dal 138 già citato e per evitare la "roulette russa" del referendum. Non credo che Renzi possa incarnare una svolta autoritaria, ma la trasformazione del Partito Democratico in un partito carismatico finisce per essere una curiosa berlusconizzazione, mentre oggi propria la complessità del quadro esistente obbligherebbe ad un gioco di squadra di tante intelligenze e non mi riferisco alla corte di amici e sodali, che garantiscono solo fedeltà e devozione e che nulla hanno a che fare con la fucina di idee, che obbliga a scelte collegiali che non siano frutto di caratteri più o meno forti o sanguigni. Insomma, la stagione delle riforme parte male e più che andare avanti si sta andando indietro. La marcia da mettere era la prima, non la retromarcia.