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08 ago 2014

Non dimenticare i clienti italiani

di Luciano Caveri

La mia tesi ormai è nota: il calcolo fatto in Valle d'Aosta dell'andamento turistico, con i soli dati di arrivi e di presenze, come se fossero vangelo cui rifarsi, non è sufficiente né convincente. Anche in quest'estate avversata dal maltempo, trovo - per fare un solo esempio su come i dati quantitativi vadano presi con le pinze - albergatori che si sono trovati costretti a dei tagli alle tariffe, che fanno impallidire gli sconti più stracciati su "Groupon". E' vero che bisogna sopravvivere, ma il giorno in cui ripartirà il pagamento dei mutui alberghieri, che non potranno essere posposti all'infinito per il rischio di un intervento muscolare della Commissione europea (a cui certe scelte andrebbero cautelativamente notificate per evitare responsabilità), certe politiche al ribasso torneranno indietro come dei boomerang. Tuttavia, esiste un ragionamento sul quale si fa l'unanimità, pur in un ambiente come quello turistico che non è sempre facile. Mi riferisco al dato inoppugnabile di un calo costante della clientela italiana. Lo dicono sulle Alpi e in Valle d'Aosta gli albergatori, ma anche i gestori di altre strutture residenziali come i campeggi o gli agriturismi. Lo confermano i rifugisti, ma anche le guide alpine. Pensiamo al "Tour du Mont-Blanc", che - se non alimentato da francesi e stranieri di varia nazionalità - sarebbe deserto. Ma questo vale anche per lo sci, che gode, specie nel periodo delle settimane bianche, di apporto di turisti inglesi, russi, scandinavi, che se non arrivassero sarebbe guai. Posso dirvi, avendo ieri registrato un "cappello" televisivo per le trasmissioni in ricordo di Cesare Ottaviano Augusto, morto duemila anni fa, che nella zona archeologica del Teatro Romano si sentivano parlare diverse lingue, ma pochissimo l'italiano. Questa vocazione internazionale fa piacere e bisogna alimentare questo turismo che persiste. Per questo è bene spendere dei soldi in promozione in Paesi importanti ma ormai abbandonati, senza fare, per contro, troppi voli pindarici in India o Sud Corea, come se fossero chissà che cosa. Taccio sulla Cina, perché basta il Casinò di Saint-Vincent, che ormai sembra invasato con la caccia ai giocatori cinesi, per dimostrare di come si possa avere uno sguardo esclusivo, che non promette nulla di buono. Ma forse a Macao - e questo mi è sfuggito - costruiscono bacchette magiche a buon mercato. E gli italiani? Bell'interrogativo: verrebbe da dire che considerare che tutto sia perduto e che gli italiani saranno per sempre capricciosi clienti "mordi e fuggi" per soggiorni sempre più corti con spese da "braccino corto" non è la scelta giusta. Esiste in Italia un bacino d'utenza assai interessante, su cui bisogna fare scelte di marketing innovative, politiche di prezzi concordate, iniziative che attraggano. Senza incorrere nel rischio, come talvolta appare, di una cupa rassegnazione rispetto al declinare della domanda italiana. Puntare su turisti che arrivano qui come meta di lunga destinazione non vuol dire trascurare la clientela di prossimità e quella di media distanza. In un mondo in cui i focolai di guerra sono molti e c'è il rischio di epidemie che terrorizzano (speriamo che questo virus dell'ebola venga preso sul serio, come si deve fare) - per non dire della crisi economica per ora non archiviata - ci sono delle chances che non vanno sottostimate anche nel mercato interno. Noto, invece, una qual certa rassegnazione. Non che non si debba essere realisti. Il mondo cambia e noi dobbiamo capire le modificazioni senza vivere di ricordi o di speranze infondate. Ma l'Italia resta l'Italia e ogni scelta di abbandono di questo mercato rischia di ritorcersi contro, pensando ad altre zone alpine che vezzeggiano questa clientela, come fanno i nostri concorrenti di sempre (ma ci sono anche delle alleanze da praticare), e cioè il Trentino e l'Alto Adige-SüdTirol.