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06 ago 2014

"Caso Fiat"

di Luciano Caveri

Se penso a "Fiat" mi vengono in mente due pensieri. Il primo è il piacere fisico, da neopatentato, della macchina da lavoro di mio papà, per insinuarsi da buon veterinario anche nelle stradine più strette e impervie: la "595 Abarth". Era una "500" elaborata e spinta, che - adoperata sui percorsi di montagna - dava grandi soddisfazioni, ma bisognava fare la "doppietta" e cioè, nei cambi senza sincronizzatore per non grattare nel passaggio ad una marcia inferiore, bisognava transitare per un batter d'occhio in "folle", un'accelerata e via. Che "Fiat" fosse la marca di auto per antonomasia è dimostrato dal fatto che la prima macchina di mio papà, nel dopoguerra, fu - come per tantissimi - la mitica "Topolino". Ma dicevo di un secondo pensiero: mi spiace che la scomparsa delle persone impedisca di poter parlare con loro degli svolgersi degli avvenimenti successivi. Degli attuali avvenimenti "Fiat", che scompare nel grottesco acronimo "FCA - Fiat Chrysler Automobiles", in cui la mancanza della "I" è oggetto di lazzi e motteggi, mi piacerebbe sapere che cosa ne penserebbe Efisio Noussan, il "grande vecchio" dei concessionari auto valdostani. Fu lui a portare la "Fiat" in Valle ed il "Palazzo Fiat" in via Chambéry è stato per anni un segno fisico nella città del boom economico, che comprendeva anche la diffusione capillare dell'auto, motorizzazione che andava di pari passo con la costruzione delle strade nel dopoguerra. Penso che resterebbe stupito di quanto sta avvenendo e chissà cosa direbbe al figlio Pierre, che ormai ha trasformato la società di famiglia in una "multimarca", com'è diventato obbligatorio fare. Quel che resta della famiglia Agnelli, nel trascorrere del tempo ed il susseguirsi delle generazioni, ha seguito "a babbo morto" le scelte del manager-socio Sergio Marchionne, che ha scelto la "via americana" ed una delocalizzazione dell'impresa, come avviene nella vicina Serbia. E Torino e l'Italia? Sono stati anni e mesi di grande rassicurazione, ma poi pian pianino - che sia la sede legale o fiscale, che sia il cuore pulsante dei progetti futuri - ci si è resi conto che, malgrado tutte le promesse, "Fiat" sceglie di andarsene. E' possibile che l'alternativa fosse davvero fra "mondializzazione" e "morte", ci mancherebbe. Non ho competenze per dire il contrario, ma - da semplice osservatore - non si può non notare come l'Italia, di fatto, non avrà più, a differenza di Germania e Francia, una propria azienda automobilistica, con un cuore pulsante e un cervello che non siano situati altrove. E' vero, come sanno bene gli industriali valdostani che operavano ed operano ancora nell'automotive, che l'indotto "Fiat" si era andato spegnendo già negli anni passati e a bastava guardare alle percentuali delle vendite delle auto "Fiat" e del Gruppo per capire che un mondo stava scomparendo. Questo ha colpito anche la nostra piccola Valle, che purtroppo con "Fiat", ma a suo tempo anche con "Olivetti", ha preso delle gran batoste. L'unico vantaggio fu forse la cessione che "Fiat" fece dei vastissimi terreni su cui sorge in parte il "Parco regionale del Mont Avic". Oggi la via internazionale della "Fiat" non cambia più nulla per noi (non so bene i destini dell'azienda di componentistica per auto in magnesio sopravvissuta a Verrès), ma in generale è un impoverimento per il nord ovest e rientra nello smantellamento di un sistema industriale italiano che ebbe momenti gloriosi. Mi pare che alla fine tutto questo avvenga in un generale clima di accettazione, che sia il Governo, i partiti o i sindacati, come se ci fosse qualcosa di inarrestabile in questa strada che fa dell'Italia un Paese privo di industrie in settori strategici per il futuro. L'elettronica, la chimica, il tessile, il siderurgico: il rosario di chiusure e ridimensionamenti degli scorsi decenni fanno davvero impressione e non si vede una reale inversione di rotta. Ma, intanto, avremo un Senato ridotto al lumicino da far vedere come segno riformatore a Bruxelles, da cui - temo - risuonerà una grande e comunitaria risata. Loro, i nostri partner dell'Unione europea, guardano più all'economia che all'ingegneria costituzionale e il "caso Fiat" - per non dire di quello "Alitalia", dove alla fine i "capitani coraggiosi" dell'imprenditoria italiana hanno svenduto agli arabi con aiuto pubblico - non sarà certo sfuggito. Chi ha deciso su "Fiat" - e porterà il peso del successo o dell'insuccesso, ma di certo l'abbandono dell'Italia - è Marchionne e vien da dire: «Fiat voluntas sua...». Nel quadretto stride l'acquisto, in controtendenza rispetto all'addio ai luoghi natii, del quotidiano "Il Secolo XIX" di Genova, che si somma a "La Stampa" di Torino ed alla maggioranza nel "Corriere della Sera" di Milano. Perché? Solo per sostenere l'addio ai monti? Il settore non rende e diventerà assai spinoso e dunque, per quanto la mano sull'informazione conti sempre, questo passo lascia perplessi.