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14 giu 2014

Il jukebox era social

di Luciano Caveri

Trovo, come tutti quelli che si sono assoggettati in corsa alla rivoluzione digitale, assolutamente straordinario che oggi, non appena ascolti un brano musicale, te lo puoi comperare subito dopo (personalmente non "pirato" per principio), a condizione di avere una discreta connettività. Sono le comodità, ma che hanno anche un retrogusto di schiavitù, di questo mondo sempre on line, in cui ti può capitare di cercare il telefonino anche quando lo stai usando per telefonare... Addirittura, come ormai quasi tutti sanno, se non conosci il nome del brano e chi lo canti, ci sono delle "app" (applicazioni) che, analizzandone un pezzettino, ti scodellano subito i dati necessari per la ricerca. Pian piano, tra l'altro, la tipizzazione di ciascuno di noi, come cliente per qualsivoglia tipo di mercanzia, fa sì che qualche algoritmo ti proponga di tanto in tanto l'acquisto di qualcosa che - a loro insindacabile giudizio... - dovrebbe interessarti. Ormai su questo punto la tutela dei propri dati personali è andata a farsi friggere e questa dei tuoi gusti commerciali è forse, rispetto al rischio di controllo delle mail, ormai principale strumento di comunicazione, è solo la punta dell'iceberg. Ai tempi del Ginnasio ad Aosta, a scuola ce la ridevamo allegramente - e lui, compitissimo, direi che fingesse di non accorgersene - quando un piuttosto giovane don Luigi Maquignaz ci ammoniva con aria ieratica: «voi giovani sempre ad ascoltare la musica, perché avete paura del silenzio!». La sua - ma non ricordo se il don all'epoca fosse progressista o conservatore - era, se ben ci penso ora, una specie di profezia, visto che rispetto all'ascolto musicale di allora è seguito, nella sua logica, un progressivo peggioramento. Nel senso che negli anni Settanta c'erano radio di tendenza, in Valle trovavo - penso su onde lunghe (anzi, no, su Onde Medie, mi corregge Christian Diemoz!) - "Radio Luxembourg", una sciccheria giovanilistica, mentre al mare in Liguria captavo in modulazione di frequenza "Radio Montecarlo", perché la "Rai" - tranne la "Hit Parade" di un Lelio Luttazzi senza tempo e con una verve triestina mitteleuropea - trasmetteva della musica orrenda, ma poi arriveranno Renzo Arbore e Gianni Boncompagni a fare la rivoluzione musicale con "Alto gradimento" ed i suoi personaggi. Questo sortirà l'epoca della radio con mangianastri, perché era molto "cult" registrare brani delle trasmissioni radio di moda oppure si usava lo strumento per mixare compilation, spesso adoperate per "fare colpo" sulle coetanee. Alla bisogna interveniva un amico che lavorasse in discoteca o nelle nascenti radio libere per avere la "cassettina" personalizzata da ascoltare in macchina. Agli esordi della mia passione al microfono della radio era un impagabile privilegio. L'unico strumento social anzitempo, che rimpiango vivamente, era il "jukebòx", la cui versione nei bar da spiaggia o nei locali in montagna era oggetto da "compagnia", per fare amicizia e - alla bisogna - per ballare. Qualunque evoluzione ci sia stata non ha nulla della nobiltà di quello strumento ingombrante, ormai pezzo d'antiquariato come le pianole d'un tempo, che furono le antesignane meccaniche del jukebox. Ma don Maquignaz aveva previsto il futuro, perché in successione, prima con il "walkman" e poi con "iPod" et similia, la musica nelle orecchie ha finito per essere una compagna fedele e diffusa a tutte le età, ognuno con le sue preferenze nell'ascolto. Non credo, anche se forse proprio per l'età inizio a dubitarlo, che sia, dietro l'ascolto ormai stabilizzato come fenomeno sociale, una paura del silenzio, ma certo oggi gli "spazi vuoti" e cioè anche soggettivamente silenziosi sono un'assoluta rarità. Questo comporta anche una restrizione della socialità per chi ti è intorno, se hai le cuffie piantate in testa. La prima volta che lo dirò ai miei figli, facendo il verso al prof di religione di tanti anni fa, mi estrarrò da solo un cartellino giallo per ammonirmi...