Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
06 dic 2013

Primarie al calor bianco

di Luciano Caveri

Il 2013 resterà nella storia della politica italiana come un anno di cambiamenti: basti pensare alle vicende del Centrodestra con il Popolo della Libertà trasformato in due partiti e l'uscita dal Senato di Silvio Berlusconi ed al dibattito interno nel Partito Democratico, che fra poche ore sortirà un nuovo segretario, dopo la sfortunata esperienza di Pierluigi Bersani. In queste ore, seguo con interesse quel che sta capitando nel PD e che culminerà l'8 dicembre con il voto popolare per la scelta del nuovo segretario, con le evidenti implicazioni di una nuova guida per il Centrosinistra, che porterà il partito al voto per le politiche e alla successiva leadership del Governo, in caso di vittoria. Leggo - e non mi stupisce - che ci potrebbe essere questa volta una certa stanchezza che potrebbe ridurre il numero dei votanti. Spiace dirlo, ma la logica delle "grandi intese", qualunque sia la chiave di lettura della sua nascita, del suo funzionamento e della sua fine, con l'uscita recente di Forza Italia dalla maggioranza, ha allontanato ulteriormente dalla politica. Io penso che il messaggio emergenziale, a giustificazione dei cani e dei gatti che si alleano, non sia passato e dunque un altro pezzettino di opinione pubblica si sia stufato. Per altro lo svolgimento delle "campagne elettorali" per le "Primarie" hanno una durata logorante in un'epoca in cui la rapidità conta. Lo dico con l'interesse e la simpatia di chi per anni lavorato fianco a fianco, specie a Roma e Bruxelles, con pezzi che oggi compongono il PD. Devo dire che, preso appunto atto delle "Primarie", come dato ormai acquisito e segnalato il coraggio del democratici nell'infilarsi di nuovo in questa storia, spiace ribadire che l'importazione in Italia dell'antica tradizione americana delle "Primarie" non mi ha mai convinto. Non si può prendere un pezzo di una diversa storia democratica e inserirla, come se nulla fosse, in un'Italia che avrebbe bisogno di una riforma complessiva delle istituzioni, compresi i partiti. Questa parzialità rende il meccanismo partecipativo imperfetto e lo si vede. Ammiro - e ci pensavo guardando il dibattito di "Sky", ennesima sconfitta del servizio pubblico televisivo che non "osa" fare i confronti - la foga dei tre competitori: Matteo Renzi, Pippo Civati e Gianni Cuperlo (l'unico che conosco). Ma basta seguire i social media per vedere come questa competizione, che i tre si giocano con competenza e aplomb, scateni delle tifoserie assai partecipative e che guerreggiano non poco le une contro le altre con grande "vis polemica" e anche al limite del colpo basso. L'impressione, infatti, è che spesso la soglia del calor bianco venga superata e certe ferite resteranno chiunque vinca, perché è bene non raccontarsi balle sulla storia «poi, da domani, si lavorerà tutti assieme», dopo che sono volati insulti. Le divisioni non agiscono, infatti, come nei sistemi americano e inglese su partiti che hanno una loro solidità e compattezza, ma anche il PD paga il prezzo di mettere assieme dei pezzi di un puzzle che - a differenza di tante aspettative - non si sono incastrati troppo bene e le "componenti" sono uscite con forza allo scoperto. Vedremo cosa capiterà e se i rischi di divisione, di "fuoco amico" e di vendette saranno prevalenti o contenuti. Quest'ultimo caso, più che tanta retorica sulle grandi intese, sarebbe già un segno di stabilità. E la stabilità, assieme ad un'azione di governo vera e coordinata (se penso ai pasticci sulla fiscalità mi monta la carogna), resta un bene prezioso, ma la stabilità reale non è un simulacro, come troppo spesso è avvenuto in questi mesi.