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06 nov 2013

Le responsabilità politiche

di Luciano Caveri

Scrivere tutti i "santi" giorni, da molti anni, comporta vantaggi e svantaggi. Lo svantaggio principale sta nel rischio di tornare sui medesimi argomenti troppe volte o magari avere, in certi post, un calo di tensione o scarsa verve. Capita anche, nella logica dello "scripta manent", di dimostrare, nel passare del tempo, anche un cambiamento di posizione su singoli argomenti e penso che sia del tutto naturale che questo avvenga, perché le posizioni possono mutare, con il cambiamento dello scenario in cui sono inserite. Il vantaggio è, invece, nel fatto che lo scritto "congela" i propri pensieri, che possono poi essere rievocati con facilità, Lo si può fare, ad esempio, con il motore di ricerca posto qui a fianco, attraverso il quale recuperare argomenti di tempo fa. Un caso di scuola è il maledetto "Patto di stabilità" che, in comitato disposto con la bufala del federalismo fiscale, si sta chiudendo sulla nostra autonomia speciale come un trappola per castori. Per cui abbiate pazienza se, ma di articoli ne potete trovare a iosa e seguono un loro filo logico, mi autocito con passaggio dell'ottobre di quattro anni fa: «Temo infatti che, specie nella coda della crisi, ci sia il veleno. In Italia questo vuol dire l'uso del "patto di stabilità" per garrotare le autonomie, magari con la mazzata finale per le "speciali" nel nome - colmo dei colmi - del "federalismo fiscale" (tra virgolette, essendo una bugia). Lo Stato senza il "vero" federalismo è una macchina livellatrice (il "Moloch" di Proudhon), che mira - nel nome dell'uguaglianza - a costringere situazioni diverse all'uniformità. Le "specialità", come la Valle, disturbano, pensando poi che talvolta - lo dice sempre la storia - i nostri peggiori nemici siamo noi stessi». Parole profetiche nell'attualità. In altre circostanze, ho svelato ancor meglio il piano in corso e invitavo ad una reazione. Risalendo negli anni, si potrebbe vedere che preoccupazioni del genere le avevo già all'epoca della mia Presidenza della Regione, a partire dal 2005. Non a caso in quegli anni i danni vennero arginati. Poi, invece, è cominciato il cammino verso l'attuale precipizio, in cui siano caduti per l'incapacità del presidente, Augusto Rollandin, tornato al comando nel 2008, di gestire i rapporti politici a Roma e a Bruxelles. La sua concezione feudale della politica, la mancanza di un background adeguato ai tempi mutati, la trasformazione dell'Union Valdôtaine in una macchina personalistica, l'amministrazione piegata a macchina da voto e clientelare, la scelta di circondarsi di assessori sempre più accondiscendenti, la volontà di seguire filoni legati a fili invisibili di potere sono il segno di un fallimento. Il tramonto è, purtroppo, di una lentezza esasperante, per l'evidente paura della caduta di un castello di carte, che sta ormai in piedi per un soffio, e questa situazione danneggia in profondità questa nostra autonomia speciale, che rischia di morire. Ecco perché chi sacralizza l'obbedienza, spacciandola come qualcosa di legato ad un movimento politico e al suo patrimonio di idee e di valori, racconta una bugia, piegandosi in realtà a chi, adoperando i lati deboli della democrazia, ha costruito un sistema di potere personale, autocratico e dannoso. Per cui, in certe circostanze, coltivare l'obbedienza non ha significato: «L'autorité n'existe plus dès qu'elle a rendu l'obéissance honteuse et la révolte honorable», una frase di Louis-Philippe de Ségur, che sintetizza bene le conseguenze.