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09 ott 2013

Lo iettatore

di Luciano Caveri

Capita spesso, nella vita quotidiana e nel mondo parallelo dei social media (ieri leggevo un dialogo di follower sul tema), di indicare qualcuno come "menagramo". Nomea tristissima e ingiusta, che marchia come un'infamia e crea quel famoso effetto «Calomniez, calomniez, il en restera toujours quelque chose». Faceva ridere, in un suo film, il grande Totò, che credeva molto a certe cose, come molti attori, quando diceva: «Il pericolo ci sovrasta, in questo ufficio c'è uno iettatore : non uno iettatore da poco, ma uno iettatore ereditario. Il nonno era imbarcato sul "Titanic" e fu l'unico superstite; lo sbarcarono a Messina e la notte stessa venne il terremoto. Saranno coincidenze che coincidono, ma una coincidenza oggi, una coincidenza domani….». Io ne ho in mente tre di persone e loro coincidenze. Uno era un famoso presidente di Commissione alla Camera, socialista e napoletano, grande costituzionalista. Sapeva della nomea e ci scherzava. Ricordo una volta, che viaggiammo in treno con una delegazione parlamentare verso Bonn (allora Capitale tedesca). Già il treno era stato prescelto, dopo un consulto con i funzionari preoccupati, pensando che un incidente aereo sarebbe stato peggio di uno ferroviario, ma nella notte del viaggio da Roma si sviluppò una serie di epiche partite a poker. Per l'unica volta in vita mia il tavolo, me compreso, giocava per perdere per non contraddire Lui, cambiando le carte buone per non incorrere nella "sfiga". Vinse un deputato di Brescia, che fu fulminato da un: «Chissà se mai verrai rieletto». Mai fu rieletto. Oppure quella volta in cui, per un bisticcio in Commissione, disse a un collega: «Attento alle scale!». La povera vittima tornò, la volta dopo, ingessato. Mi convinsi allora che, ovviamente non esistendo nulla di reale, lo iettatore fa impressione e la casualità diventa la mano invisibile del destino, legato alla capacità del "gufo" di pilotare la sfortuna. Nel mondo del giornalismo, ricordo tre colleghi, due seguivano lo sci, uno della "Rai" e uno de "La Stampa". Gli atleti e tutto l'entourage delle gare li temeva, annunciandone l'arrivo con gesti e oggetti scaramantici. Ricordo che uno, una sera, fece un annuncio ad alta voce su una cattiva percezione nell'aria, che causò un blackout in una nota stazione alpina, mentre l'altro sadicamente centellinava frasette ambigue sullo stato di salute degli altri con incubi per i superstiziosi. Il terzo era un collega di origini valdostane che lavorava altrove. Di lui si è sempre detto il peggio, roba da pompe funebri e da vicende da tregenda. Lui si godeva le situazioni, considerando la iella come uno stupendo passepartout. Io non ci credo, naturalmente, e mi sono sempre divertito dei politici che consultavano maghi e fattucchiere e, nella vita di tutti i giorni, dimostravano di credere a cose tipo la sfortuna derivante da gatti neri, dal sale caduto, da uno specchio rotto o dalle date genere venerdì 17. Superstizioni...