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08 lug 2013

Perché il decentramento non è il federalismo

di Luciano Caveri

Non ci voleva una scienza a capire che le Province non potessero essere né riordinate né soppresse con l'uso della strumento del decreto legge, per cui ora il disegno di legge costituzionale per farlo è una "foglia di fico". E' stata la Corte Costituzionale a sancire, con sua sentenza, che la decretazione d'urgenza resta un "atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza" e dunque è uno "strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio", riferendosi all'impugnativa della norma fatta da otto Regioni. Io penso che Mario Monti abbia perso la sua credibilità anche per l'evidente e spocchioso abuso del decreto legge con cui - nella complicità e nell'autocastrazione dello scorso Parlamento - ha governato, facendo "carne di porco" del confronto democratico nelle Camere. Anche in tema di finanze delle autonomie speciali la Consulta ha già punito Silvio Berlusconi e lo farà con Monti e i suoi "professori", compresi quei burocrati dello Stato, che ancora operano nel Governo Letta con quel continuismo, che è il cancro della democrazia italiana. Lo è sin dall'esordio della Repubblica, quando, senza colpo ferire, la struttura dello Stato è stata quella ereditata dall'epoca fascista e poi, nel "grand tourbillon" dei Governi da allora ad oggi, c'è stata una casta di "culi di pietra" che nei gangli vitali nazionali è rimasta sempre la stessa, in barba ai cambiamenti in politica. Sono capi di Gabinetto, direttori generali, capi Segreteria e funzionari di vario rango: l'ossatura "romanesca" di uno Stato, che è rimasto centralista sin nel midollo e che subisce il sistema autonomistico come un nemico da combattere. Sono decenni che questo avviene in maniera sistematica. Va detto con onestà che solo la presenza della Lega aveva, dall'inizio degli anni Novanta, obbligato tutte le forze politiche ad aprirsi a prospettive, più o meno ampie, di un federalismo all'italiana. Ma si è trattato di un federalismo verbale e ormai da tempo siamo in epoca di "Controriforma", di cui il Governo Monti è stata la furbesca apoteosi con la logica - intellettualmente brillante - dell'uso della "Governance economica europea" (nella vulgata "Patto di stabilità") come un metodo efficace per distruggere il sistema autonomistico. Una "politica del rubinetto" che, ridimensionati o chiusi i trasferimenti finanziari e bloccata la capacità di spesa, ha ridotto al collasso il sistema degli Enti locali e quello regionale. Dimostrando con chiarezza, se mai ce ne fosse stato bisogno, come mai "decentramento" e "federalismo" siano due cose diverse: una è una concessione sempre revocabile e l'altro è un metodo che imbeve il sistema di più sovranità che si fronteggiano. E non è il caso italiano. In questo contesto confuso di una "politica debole", resa ancora più fragile dalla logica della grande intesa che porta alla logica scontata del rinvio dei dossier che dividono che sono più di quelli che uniscono, sono contrario - l'ho detto e lo ripeto - a toccare il Titolo V della Costituzione, che comprende anche le Autonomie speciali. Nella filosofia attuale del "volemose bene" e nella svagatezza derivante dalla confusione dei ruoli, non vorrei che ci fosse un costituzionalismo all'amatriciana, che confezioni un "pacco dono" alla nostra autonomia speciale, svenduta su qualche tavolo romano, anche per la fragilità della nostra capacità di difesa per una scarsa credibilità delle nostre istituzioni, causata da certe vicende giudiziarie che pendono o che arriveranno. A Giulio Andreotti venne attribuita una celebre frase, sempre calzante: «A pensar male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si indovina».