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08 nov 2012

Passaggi da ricordare

di Luciano Caveri

Dopo il fascismo, che aveva creato una dittatura ferocemente centralistica, i padri costituenti scelsero, non a caso e come antidoto contro future svolte autoritarie, la strada del decentramento e del regionalismo. Oggi chi vuole tornare indietro su questo punto o è picchiatello o in grave malafede e con tentazioni che mi preoccupano. Sarebbe bene che questo punto, cioè quello di una "Repubblica delle autonomie" come atto fondativo irreversibile, fosse chiaro in quest'epoca di controriforma con una deriva contro Regioni e Comuni nel nome di un neonazionalismo ora economico-finanziario che diverrà politico-costituzionale. Eppure, non a caso, la Costituzione così recitava all'articolo 114 della Costituzione: "La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni". Questo stesso articolo, nel contesto di una visione che doveva rafforzare il Titolo V della Costituzione in senso filoautonomistico, venne così modificato dalla riforma costituzionale del 2001: "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato". Questa scelta recuperava i diversi pensieri di chi - tipo Antonio Rosmini, Vincenzo Gioberti, Carlo Cattaneo, Giuseppe Mazzini - pensava, con diverse sfumature, ad un'Italia che avesse un'organizzazione regionalistica per evitare un eccessivo accentramento nell'Italia unita. Non a caso e proprio all'inizio fu Luigi Carlo Farini, Ministro degli Interni del I Governo Cavour a presentare alla Camera un disegno di legge, approvato il 24 giugno 1860, per la istituzione presso il Consiglio di Stato di una Commissione legislativa per lo studio e la compilazione di progetti di legge sulla riforma dello Stato. Il lavoro compiuto prevedeva una forma di regionalismo ripreso da Marco Minghetti, successore di Farini al Ministero degli Interni, che presentò nel 1861 alla Camera dei Deputati una riorganizzazione amministrativa dello Stato attraverso apposite proposte di legge. Minghetti spiegava, nella relazione illustrativa, come l'unità politica non dovesse comportare per forza l'unità amministrativa proprio per le differenze d'interessi e di tradizioni delle diverse comunità regionali che non potevano essere distrutte o "unificate" artificialmente in un'unica indifferenziata forma di disciplina o di ordinamento. L'idea, che avrebbe cambiato in meglio i destini italiani, venne bocciata dai deputati e morì per mano delle misure centraliste che seguirono. Ci vollero più di ottant'anni per avere un disegno regionalista nella Costituzione e più di cento anni complessivi per una sua realizzazione con le Regioni ordinarie che si affiancarono alle speciali. Solo fra le due guerre, prima dell'avvento del fascismo, il tema del decentramento e delle Regioni era tornato del dibattito parlamentare e va detto che in Valle d'Aosta - su spinta del desiderio di forme autonomistiche a beneficio del popolo valdostano - il dibattito, anche in piena Italia liberale, si mantenne vivace e questo fu l'humus da cui è nata l'autonomia speciale. I valdostani sono sempre stati punta di diamante del dibattito sul regionalismo e poi del federalismo, pur nella limitatezza delle forze. Oggi c'è chi ci dipinge come dei profittatori neghittosi (e non torno sulla balla dei francesi che ci avrebbero cucinato l'autonomia). Che pena!