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15 ago 2012

Sotto il temporale

di Luciano Caveri

Sarà che in queste settimane le occasioni non sono mancate in un'estate molto spesso piovosa, ma il fatto è che l'altra sera, essendo oggetto di conversazione, ho scoperto di non essere pazzo. Ho infatti appurato di condividere con alcuni commensali la mia insana passione per i temporali e poi nei giorni successivi ho ulteriormente verificato - non fosse altro per il continuo ripetersi del fenomeno che fa socialità perché parlare del tempo è un classico - quanto questo sia un dato comune. Amo i temporali e ho un ricordo vivissimo di quando - ero molto piccolo - mio padre a Pila, durante i temporali, spiegava - osservando il fenomeno dalla finestra della casa dove andavamo in villeggiatura - come capire se il temporale si stesse avvicinando o allontanando. Poiché il rumore del tuono segue di norma di alcuni secondi il bagliore del lampo, essendo che la luce viaggia a velocità maggiore rispetto al suono, misurando il tempo che intercorre tra la visione del lampo e la percezione del suono, è possibile determinare a quale distanza si sia verificato il fenomeno e più è distante il temporale e più passa del tempo. A me l'esperimento piaceva, ma ai miei piaceva meno che volessi uscire per respirare l'aria elettrizzante del temporale che mi galvanizzava (verbo giusto, visto che deriva dai bizzarri esperimenti settecenteschi con l'elettricità di Luigi Galvani).  Eccitazione benevola che mi portava da bambino a voler fare il bagno in mare a tutti i costi durante i temporali, quando l'acqua diventa stranamente calda, benché ammonito dei rischi terrificanti di un fulmine che colpisse la superficie nei miei paraggi.  Ricordo poi da adulto certi terribili temporali presi in montagna, come una discesa - in maglietta e pantaloncini - giù a rotta di collo da Col Du Mont in Valgrisenche sotto una pioggia da tregenda. Ero fradicio e stanco ma carico come una pila. Mi sembra una predilezione innocua.