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08 mar 2011

Una storia lunga cento anni

di Luciano Caveri

Leggere i libri è una gioia che presuppone la fortuna di appassionarsi alla lettura. Il mio mentore è morto cento anni fa, uccidendosi con il harakiri come un antico samurai: quella morte è oggi l'occasione per ricordarlo ad un secolo dalla sua scomparsa. Vorrei nel piccolo evocare la sua personalità, dopo aver guardato le sue foto con i baffi a manubrio e gli occhi penetranti. Emilio Salgàri ha il merito di avermi fatto scoprire mondi misteriosi e all'epoca, quando divoravo i suoi romanzi d'avventura all'inizio dell'adolescenza, non avevo idea che i suoi racconti non corrispondessero affatto a viaggi nei luoghi dettagliati dove agivano i suoi personaggi. La fonte di certi racconti erano i libri di biblioteche di Verona da cui traeva ambienti, costumi, personaggi in un mix ricco di fascino. I pirati e i corsari erano i miei preferiti e, esattamente come l'autore che scriveva simulando luoghi di fantasia stando fermo in Italia (compreso il vicino Canavese dove abitò per un certo tempo e dunque come non presumere qualche tappa valdostana?), i miei "viaggi" avvenivano infilandomi nelle pagine dei libri, elaborando una personale tecnica di lettura rapida che mi trascinava nella trama. Quando leggi la sua biografia, ritrovi una vita di una scrittura folle e continua per guadagnare il più possibile, ma era un pasticcione e così si indebitò sino a diventare malato, in sintesi "matto". Il suo successo fu occasione per uno stuolo di imitatori per mettere in commercio materiale mediocre e questo peggiorò ulteriormente la situazione. Ho ancora i suoi libri con le copertine illustrate e ricordo come lo sceneggiato televisivo "Sandokan" risultasse goffo e grottesco rispetto alle pagine immaginifiche dello sfortunato Salgàri.