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14 set 2011

La politica è mobile

di Luciano Caveri

L’esito delle elezioni va sempre rispettato. L’ho sempre pensato tutte le volte che mi sono candidato e sono stato eletto ed ormai si avvicinano i venticinque anni di carriera politica, per mia fortuna cominciati presto. Ecco perché quando in Italia ha vinto Silvio Berlusconi, che aveva molti elementi per non piacermi, l’ho sempre considerato un interlocutore. L’inizio non fu brillante quando lo incontrai la prima volta: mi pareva che più che ascoltare si guardasse la punta e la pulizia delle sue scarpe, che notai essere dotate di un robusto rialzo. L'ho poi incontrato altre volte nella mia carriera politica, ricavandone l'idea che la Valle d'Aosta non gli interessasse in una logica da "contabilità aziendale": pochi voti, scarso interesse. Credo che sia la stessa ragione per la quale veniva in Valle quando era al vertice delle sue televisioni e del colosso "Publitalia" con incontri a Saint-Vincent, ma come politico non si è mai visto in una visita ufficiale, attenendosi ad una sorta di proporzionalismo del suo interesse.

Una delle ragioni per cui non andava fatto, in Valle, l'accordo con il Popolo della Libertà è che il declino di Berlusconi è evidente da tempo, anche se ha avuto una capacità d'incassatore degno di ottenere la cintura mondiale dei pesi massimi. Immagino che il non lasciare di fronte ad un logoramento che avrebbe stroncato chiunque non sia solo per un carattere e un orgoglio di ferro, ma perché certi sistemi di potere personalistico quando cadono strascinano conseguenze che lo colpirebbero come persona e minerebbero la sua colossale rete di società. Forse per sveltire la fine del "berlusconismo" andrebbe fatto con lui un accordo fra gentiluomini, che non dico gli assicuri l'impunità, ma che almeno si eviti quel rischio di vendetta che appartiene al carattere italiano. Assecondarlo con un'alleanza qui da noi, mentre si è avviato verso il viale del tramonto è un disegno incomprensibile, ma forse semplicemente non capisco. Capisco, semmai, quanto sia difficile immaginare che cosa avverrà dopo lo sgretolamento del suo partito personalista e di una rete d'interessi, fra politica e affari, mai capitato in Italia e direi in una democrazia occidentale. Personalmente non condivido l'attitudine chi viene colto, di fronte alla prospettiva ineluttabile del cambiamento, da una sorta di "horror vacui", paura del vuoto, che non vedo assolutamente. In politica gli spazi vuoti si riempiono in fretta e sarà interessante vedere in Valle dove si accaseranno i profughi del berlusconismo, tranne i pochi che vivranno di memoria. Qualche idea me la sono fatta, specie per chi – folgorato sulla via di Damasco (o meglio di "Avenue des Maquisards") - parla ormai come un autonomista "rusé". Roba, per chi come me è unionista da una vita, da finire steso sul lettino di uno psicoanalista per un problema evidente d'identità. Ma la politica è mobile, "qual piuma al vento", per cui basta aspettare di vedere dove si depositerà.