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29 ago 2010

Il giro di cronaca

di Luciano Caveri

Quando ho cominciato a fare il giornalista, il "giro di cronaca" era un classico. Ricordo che prima dello spostamento della sede "Rai", per molti anni in redazione campeggiava il cartellone dei numeri da chiamare scritti grossolanamente di mio pugno.  Da queste telefonate e da un gruppetto di corrispondenti (Rino Cossard a Saint-Vincent, Eugenio Squindo a Gressoney e via di questo passo...), quando non c'erano agenzie di stampa a farti il lavoro, ricavavi la materia prima per la "cronaca nera". Le "brutte notizie" han sempre "fatto notizia" per evidenti ragioni consolatorie. Il destino colpisce ciecamente e quando ascolti (penso alla "Voix de la Vallée", per anni la fonte delle notizie per i valdostani) della casa esplosa per il gas, del bimbo morto precipitando in un burrone, degli alpinisti caduti in cordata, del motociclista morto in un incidente ti identifichi con il dramma e pensi che non è capitato a te nella roulette russa della vita quotidiana di cui sei giocatore senza volerlo. Somiglia in fondo a quel meccanismo psicologico che odi nei tuoi genitori e di cui ripercorri i passi, quando annoti anche tu - nella chiacchiera con gli altri   - morti e disgrazie dei tuoi coetanei ed amici. Gusto funebre e macabro che esorcizza le tue paure.