Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
27 mar 2010

Banalizzare il "ti amo"

di Luciano Caveri

All'epoca in cui ho avuto (sarebbe forse meglio usare il passato remoto...) la mia "educazione sentimentale", cioè gli elementi fondamentali nei rapporti con le ragazze, la mappatura - frutto dell'evoluzione culturale dei miei tempi - prevedeva un cammino linguistico, di cui non avevo consapevolezza semantica, del genere, in crescendo: il generico «mi piaci», il consueto «ti voglio bene» e il raro «ti amo». Leggo come l'etimologia di "amare" sia discussa e complessa e la pista indoeuropea, prima del latino, sembra ormai scalzata dall'etrusco. Chissà! Spiace che questo termine così antico venga oggi svilito da un uso, di cui la televisione è amplificatore, che prevede un uso banalizzato del "ti amo", adoperato per non solo per i legami più stretti, ma anche per parenti e amici. Una scelta che mostra una sorta di decadenza nella lingua, che toglie per l'impoverimento lessicale ogni utile sfumatura a vantaggio di un italiano standard ridotto a poche centinaia di parole. Con la novità, direi clamorosa, di un sacco di gente, proprio nella già citata televisione, che parla così male da non consentire neppure la comprensione! Pare che questo esotismo, come la "donna baffuta" nei circhi di una volta, sia molto apprezzato.