«Studia, figlio mio!»

bimbo_bivio.jpgL'appello del titolo credo risulti familiare. Chissà quante volte, nell'Italia del dopoguerra, questa sollecitazione suonava come un viatico.
Ci pensavo mentre mio figlio, giunto in Terza media, deve scegliere la scuola superiore nella profonda indeterminatezza dei futuri cambiamenti della Riforma Gelmini. L'orientamento mi è parso un meccanismo fragile che propone infine un foglietto striminzito con un consiglio: meglio forse consultare un oroscopo.
Certo è che il clima nel mondo del lavoro non è buono: sulle inserzioni dei giornali tanti chiedono lavoro, poche imprese lo offrono. Il paradosso è che chi più ha studiato, smentendo gli ammonimenti affettuosi dei genitori, oggi rischia grosso che sia il patto di stabilità che comprime l'impiego pubblico o i privati che falcidiano quadri e dirigenti. Non bastano gli sgravi su auto e elettrodomestici per fare una politica in favore dell'occupazione in tempo di crisi e non bisogna solo guardare agli ammortizzatori sociali, pur indispensabili, per le fasce a reddito più basso.

Commenti

Giusto per stare in tema..

e per sdrammatizzare quella che purtroppo è una realtà troppo grigia, riporto la rubrica "Specchio delle mie Brame" de "La Gazzetta Matin" di questa settimana.

Giovani, carini, disoccupati.

Ai miei tempi sulla "Smemoranda" di tutti i liceali, oltre alle reliquie di amori finiti perché caduti da tre metri sopra il cielo e a sfocate foto di Jim Morrison inneggianti alla sua resurrezione secondo le scritture, usava riportare a lato del quattro in latino - perché gli appassionati del "De Bello Gallico" possedevano altri diari! - aforismi, frasi celebri e citazioni di cui spesso non conoscevamo la provenienza, ma riportarle sulla pagina con l’ultimo colore di "Uniposca" sul mercato, ci faceva sentire grandi.
Tra le diverse amenità ricordo che andava per la maggiore la frase «La vita ti sorride se la guardi sorridendo», parafrasi adolescenziale di un manifesto all’ottimismo che a quei tempi non sapevamo che sarebbe stato assolutamente indispensabile per sopravvivere all’età adulta. Già, noi che guardavamo i cartoni animati di "Bim Bum Bam" e che bevevamo i succhi di frutta "Billy", noi che andavamo a dormire alle otto e mezza subito dopo "I Puffi", noi che siamo nati l’anno dell’omicidio di Aldo Moro, noi, i trentenni di oggi, non potevamo immaginare che per chissà quale misterioso volere divino avremmo dovuto nostro malgrado immolarci all’altare della precarietà esistenziale e, anime inconsapevoli seppure già corrotte dall’adolescenza, ci preparavamo ad una vita di speranze.
Figli di genitori che hanno visto il boom economico, a noi è toccata la peggiore crisi finanziaria dal mercoledì nero del 1929. Chi ci ha messi al mondo è riuscito a comprare casa, mettere su famiglia e fare carriera e noi? Beh, condannati a studiare «perché senza la laurea non troverai mai lavoro» ci ritroviamo a guardare il palo della cuccagna dal basso, senza neanche poter provare ad arrampicarci perché, nonostante gli anni spesi all’università, in coda davanti a noi per salire ci sono ancora alcuni dei nostri nonni che non si decidono a cedere il passo e, con la crisi che ci sorride al posto della vita, possiamo solo sperare che l’età media cresca talmente tanto da consentirci di risparmiare qualche soldo per pagare l’acconto delle tasse sulla collaborazione a progetto semestrale.
Casa? Famiglia? Ma siamo impazziti? Di questi tempi per un giovane è già tanto poter dividere un bilocale in periferia con cinque amici che, per forza di cose, diventano l’unica famiglia. «Meno male che è arrivata la crisi - mi ha detto ieri una mia ex compagna dell’università – almeno la tizia dell’interinale la smette di dirmi che non mi assumono perché sono troppo qualificata, adesso mi dice che nessuno assume più».
Come biasimarla? Quasi, quasi, scarabocchio con la "Mont-Blanc" sull’agenda di "Prada" il proverbio «Mal comune mezzo gaudio» e lancio una moda post adolescenziale griffatissima, la brevetto, guadagno un sacco di soldi e finalmente pago un sicario per segare il treppiede del settantenne a cui pago la pensione e che è stato assunto al posto mio dall’azienda che gli aveva fatto la festa per l’addio al lavoro meno di sei mesi fa. Se non desiste, gli ex colleghi sono autorizzati a chiedere indietro i soldi spesi per la targa ricordo.

Cara Prezzemola...

purtroppo hai fatto un'analisi del problema rispondentissima alla realtà.
Si assiste ormai ad una prassi ben consolidata di ricicli di personaggi neo-pensionati per consulenze od incarichi che un qualsiasi giovane sarebbe capacissimo e felicissimo di ricoprire.
Si dice sempre che c'è bisogno di nuova linfa e nuove idee ma quando poi si libera un posto si assiste impotenti all'assunzione di vecchi personaggi rispolverati per l'occasione.
E' tristissimo e disarmante ma è lo specchio della nostra società e sull'ipocrisia di certe parole. L'America ha come Capo di Stato un quarantenne, da noi il suo coscritto é ancora disoccupato o a tempo determinato. Calcolando che da noi il politico medio ha sessant'anni e che il capo dello stato ne ha ottanta, si spera di andare in pensione, non tanto per godersi gli anni a venire in pace, ma per poter essere nella fascia di età per ambire ad essere consulente, politico, dirigente,esperto...
E' desolante e, per collegarmi all'altro forum, se avessi fatto l'idraulico a 16 anni, probabilmente ci avrei azzeccato di più (come dice Di Pietro).

Già...

stessa situazione mia, che speranza dargli per il domani?
Mia nonna soleva dire: «un'ingegnere può fare il pastore ma un pastore non farà mai l'ingegnere».
Però a che punto siamo!
Mi piacerebbe trovare le scuole tecniche strutturate in modo diverso: più ore pratiche che di teoria, un collegamento più attivo con il lavoro, meno ore sui banchi.
Comunque a tredici anni è un po' prestino per le grandi decisioni del futuro e le istituzioni hanno, come al solito, fatto un gran casino.

La peggiore congiuntura della storia

Non bastava la crisi, doveva sommarsi anche il ritorno al potere di una classe politica miope e clientelare.
Senza voler sfociare in polemiche sterili, osservo una Valle d'Aosta al palo: giovani capaci e preparati vivono giornate di angoscia alla ricerca di un impiego che non arriva per i veti di coloro che siedono sulle poltrone di comando ma che hanno provveduto a triplicare i dipendenti di partecipate (o controllate?) energetiche prima e dopo le elezioni e a premiare i fedeli più che i competenti.
Verrà il giorno in cui questi giovani adulti riusciranno a ribellarsi e a sovvertire questo malcostume,verrà il giorno in cui gli ex coordinatori regionali ultra sessantenni non potranno più gestire società create per seguire i lavori di recupero di siti o di creazione di strutture (forse ospedaliere?): quel giorno, vicino, chi governa dovrà spiegare il perché di certe scelte e pagare (nel vero senso della parola!) per la propria avida ignoranza.

Considerazioni...

Consiglierei a tuo figlio il liceo classico.
Si va sul sicuro e tutte le strade sono aperte. Meglio se ci fosse ad indirizzo matematico, ma anche quello "classico" prepara bene per tutte le facoltà e fornisce comunque una cultura di base per le varie sfide della vita. Penso che in vista dell'università una delle cose principali che deve fare la scuola superiore debba essere quella di insegnarti a studiare e tanto, cosa che il classico fa benissimo.
Ci fossero delle aspirazioni particolari o delle inclinazioni specifiche (falegname, tecnico, meccanico, geometra, ecc.) si potrebbe prendere in esame la valutazione di altri percorsi formativi e altre scuole che vanno pure bene in presenza di obiettivi più definiti.

Capitolo occupazione.
E' una società più severa che premia con maggior forza i più capaci. Indipendentemente dal titolo di studio. Oggi un buon imprenditore può (con un piccolo capitale e una buona dose di coraggio) investire in una professione o attività: negozio, bar, idraulico, carrozziere, falegname, ecc. Con il divenire di un socialismo reale il suo stipendio potrebbe essere superiore di buona parte le professioni tipiche dei laureati (con ovvia esclusione di quelle dei laureati nelle facoltà o ordini a numero chiuso, ma lì è un altro discorso).
La preparazione liceale o universitaria al giorno d'oggi è esclusivamente una preparazione culturale, assolutamente non è una garanzia economica o occupazionale.
Troppa gente confonde gli anni '50 in cui la laurea corrispondeva ad una garanzia economica con il periodo attuale, ciò era possibile al numero ristretto dei laureati imposto dalla difficoltà dei più di permettersi di studiare. Oggi è ancora vero, per lo stesso motivo (possibilità economiche), alla maggior parte dei laureati delle università più prestigiose (Oxford, Harward, ecc).
Bisogna essere pragmatici e ciò che andava bene per i genitori non è detto che vada bene per i figli.

Equivoco...

La mia impressione è che ci sia grande confusione sull'istruzione e sulla sua utilità. Prevale l'idea che l'unica utilità dell'istruzione sia l'accesso ad un confortevole posto di lavoro e ad una rispettabile posizione sociale:«studio ai fini di un lavoro e se questo non è garantito che studio a fare?».
La scuola in generale e l'università in particolare si sono trasformati in semplici centri di certificazione di esami superati senza nessuna passione, perdendo purtroppo la centralità della conoscenza e lo sviluppo del sapere. Conosco molti laureati che non hanno mai aperto libro diverso da quello che dovevano memorizzare per superare un esame o un concorso. Questa mentalità fa perdere di vista un piccolo particolare: la vera utilità dei centri di istruzione dovrebbe essere quella di nutrire il sentimento di curiosità che è proprio dell'essere umano e del giovane in particolare. Curiosità che è stata per millenni il principale motore evolutivo dell'umanità e senza la quale non avremmo avuto Socrate, Galilei, Darwin, Einstein e molti altri.
La speranza è che l'attuale crisi possa demercificare il sapere facendo rinascere personalità dal pensiero tagliente, esatto ed appassionato, animate da vera sete di conoscenza e non da mera ricerca di collocamento sociale. Un liceo classico potrebbe essere la scelta migliore perché è l'unico indirizzo che affronta con serietà l'esegesi e uscire da un corso superiore avendo acquisito la capacità di comprendere qualsiasi testo, sia esso filosofico o tecnico, è quanto di meglio si possa chiedere per bene orientare le scelte future.

Per la cronaca...

ha poi scelto il classico.
Speriamo che scopra la passione!

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