La riforma costituzionale varata dal Senato non ha reale possibilità di giungere alla sua conclusione.
Il punto di partenza è l'articolo 138 della Costituzione, che vale per le leggi costituzionali e che i valdostani dovrebbero sempre ricordare perché sono esattamente queste le procedure che si adoperano per le revisioni del nostro Statuto d'autonomia. Ne approfitto per ricordare che il Costituente usò il termine "Statuto" e non "Costituzione regionale" per non creare confusione con la Costituzione della Repubblica e il termine Statuto è per altro nobilissimo, visto il precedente "Statuto Albertino".
Dicevo del 138 che così recita: "1. Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
2. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
3. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
4. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti".
L'assenza della maggioranza assoluta nel primo voto al Senato - e i voti alla Camera saranno ancora più risicati - mostra come il treno che è partito ha un viaggio breve perché è su di un binario morto.
Ed è bene che sia così. Sul merito e sul clima complessivo mi sono espresso in Consiglio Valle. Buon ascolto!
Quest'anno sono stato revisore sul "Rendiconto del Bilancio regionale 2011". Un'esperienza interessante per vedere i conti della Regione da un diverso punto di vista, avendo potuto occuparmi dei Bilanci - specie da Presidente - nel delicato meccanismo di montaggio del puzzle della manovra finanziaria.
Come avrete modo di sentire nella registrazione audio - che sconta la cattiva qualità del suono che arriva dal Consiglio - ho diviso in due il mio intervento: una parte istituzionale e qualche annotazione più propriamente politica.
L'ho fatto con franchezza e penso che qualche spunto politico ci sia. Da notare che il Consiglio, votando il Rendiconto, ha già abrogato quella Autorità di cui parlo, evocando i diversi tipi di controllo che oggi si occupano delle Finanziarie regionali.
Sono temi complessi, ma il più forte dei segnali politici è un allarme: quello di un dilagante centralismo statale.
Il mese di giugno resta il mio preferito. Sarà perché indelebilmente legato alla fine della scuola e dunque a quella sorta di liberazione di cui, da studenti, si è in qualche modo inconsci per quegli spazi di libertà grazie ad estati non ripetibili da adulti per la loro impagabile durata.
Ma, per fortuna, la nostalgia funziona solo se opportunamente alimentata dalla vita corrente. Per cui giugno, per chi fa politica, è un momento salutare per mettere fuori il naso dagli uffici per evitare che si trasformino nella pericolosa “turris eburnea”.
Cesare Marchi così ne evoca origini e significato: “Còllum tùum sìcut tùrris ebùrnea, il tuo collo è come una torre d'avorio, dice alla bella Sulamita il Cantico dei cantici, attribuito a Salomone (VII, 5). S'ispirò a questo versetto Modigliani per i suoi famosi colli? Torre d'avorio è anche un attributo della Madonna nelle litanie lauretane. Nell'uso corrente indica il volontario e talora sdegnoso isolamento in cui si rinchiudono esponenti della scienza, dell'arte, della cultura, evitando i contatti con la realtà esterna, per meglio dedicarsi allo studio e alla creazione”.
In politica “torre d’avorio” ha il pessimo significato di chi si chiude a riccio e perde il contatto con la realtà e, in fondo, con i cittadini.
Quanto di peggio possa capitare.