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25 ago 2022

Le contraddizioni di Adriano Olivetti

di Luciano Caveri

Ho fatto il Liceo ad Ivrea in anni in cui era ancora ben vivo lo “spirito olivettiano”, che mi ha sempre incuriosito e che ha imbevuto nel tempo il milieu eporediese. Alla fine degli anni Settanta tutto era ormai nostalgico, come una fine di un’epoca e il rimpianto di quella personalità, che mi ha sempre incuriosito, che fu Adriano Olivetti. Così nel tempo ho letto scritti suoi e di chi lo descriveva. Erano le sue pagine interessanti, spesso complesse, ma il suo credo federalista era stimolante per chi è federalista, così come lo era il molto materiale che lo riguardava, quasi sempre agiografico e celebrativo. Mi interessava quel suo legame con la Valle d’Aosta sul quale - a parte il famoso piano regolatore in piena epoca fascista - non ho mai trovato elementi utili su due punti. Il primo le sue implicazioni, dopo la caduta di Mussolini, fra il 1943 e il 1945, quando Olivetti trafficava in Svizzera con i servizi segreti angloamericani e poi - esiste qualche lettera degli anni 50 negli archivi Olivetti - i legami con mio zio Séverin, eletto come lui (ma Adriano si dimise quasi subito) in Parlamento nel 1958. Torno al punto: ho trovato un libro rivelatore, che so che ha creato alcuni mal di pancia in quella parte di eporediesi nati e cresciuti nel mito olivettiano, prima del papà Camillo e poi del figlio Adriano. Una biografia di Paolo Bricco, giornalista e scrittore eporediese, intitolata “Adriano Olivetti, un italiano del Novecento”. Un libro avvincente, che ricostruisce una vita ora vincente e ora perdente di un uomo pieno di contraddizioni. Si smontano meccanismi di cose dette e ridette, inquadrando questa personalità in un contesto storico, economico e sociale più vasto e assai accurato. Il percorso è il Novecento, dalla nascita nel 1901 alla morte prematura avvenuta in treno in Svizzera nel 1960. Segnalo come l’Olivetti incise molto anche sulla nostra Valle con tanti valdostani in Olivetti e con montanari che presero cascine lasciati dai canavesani che abbandonavano i campi per la fabbrica. In comune poi ci fu la Provincia di Aosta esistita dal 1927 al 1945 e che venne soppressa con decreto luogotenenziale per ridare alla Valle d’Aosta i suoi confini storici. Cito, tornando a Olivetti, due passaggi illuminanti di Bricco: “Nel caso di Adriano appare insieme brillante e oscura l’abilità di innestare e contemperare l’impresa con le curiosità e con il girovagare di un’anima randagia e misteriosa, vocata anche alla vita politica pubblica e alla dimensione della comunità, all’illusione positivista delle scienze sociali in grado di mutare la natura dell’uomo e al seme della propria alterità ossessiva pronta in ogni istante a sconfinare in una specie di follia personale non deturpante, ma creatrice, e sempre con una cifra tecnoindustriale e organizzativo-industriale, estetico-industriale e comunitario-industriale.” Il secondo: “Adriano ha una personalità polimorfa e composita, sfacciata e segreta, malinconica e divertente, nascosta e luccicante. Opera su più piani. Intreccia numerose dimensioni. Compie una ricerca interiore privata, costruisce un edificio economico e sociale pubblico con la sua impresa, sviluppa una propria idea della Storia, è convinto di potere avere un ruolo politico nell’Italia che è uscita dalla Seconda guerra mondiale malferma e piena di un desiderio di rivalsa e che è approdata alla democrazia affamata di futuro e sazia di rimozioni del passato. Per fare tutto questo–per essere tutto questo–Adriano ha bisogno di sé stesso, della sua anomalia e della sua naturale propensione a mutare sembianze, e ha bisogno degli altri. Gli altri, per lui, sono lo specchio, l’ombra e la proiezione della sua realtà intima: polimorfi, compositi, sfacciati, segreti. Uno diverso dall’altro. Tutti ricondotti a un disegno che, appunto, è insieme contraddittorio e coerente. Gli altri sono gli intellettuali.” Già gli intellettuali che animarono con lui l’utopia, che è sfociata in vere realizzazioni sociali ma anche in elementi mitici alimentati nel tempo, e che crearono un ambiente che fece di Ivrea e del Canavese qualcosa di irripetibile. Ma certa adesione al Fascismo, le radici ebraiche negate al tempo delle leggi razziali, le contraddizioni che azzopparono l’azienda dopo una crescita prodigiosa, una religiosità contraddittoria mista anche a logiche magiche e di occultismo, l’incapacità di essere collante di una famiglia bizzarra. Mi limito a questo, perché il libro va letto e approfondito perché offre una marea di informazioni che creano un affresco interessante, in cui spicca questo uomo, Adriano Olivetti. Ne esce sminuito? Direi di no: ne esce, come chiunque, dipinto con onestà, evitando di frane un inutile santino.