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05 mag 2021

Una tappa nella vita

di Luciano Caveri

Riflettevo ieri, 1° maggio, Festa dei Lavoratori, su questa parolina che frulla nella mia testa: "pensionato". Nella mia vita parlamentare mi sono talvolta occupato della materia. Ricordo, ad esempio, quando, all'epoca della privatizzazione della "Cogne", ci fu una norma che proposi per i prepensionamenti necessari, che consentì a cinquantenni di lasciare la fabbrica con una pensione anticipata. Circostanza oggi impensabile. Penso nella sfera familiare a quando mio papà andò in pensione come veterinario condotto, ma non mollò mai la libera professione fino a quando traguardò gli ottant'anni. La sua era un'etica del lavoro al limite della missione. Come non evocare le festicciole, sempre più numerose mano a mano si invecchia, di chi va in pensione fra regalini e sfottò, come la classicissima «ora potrai andare a guardare i cantieri».

Scriveva, invece, con grande serietà Simone de Beauvoir: «V'è quasi sempre un'ambivalenza nel lavoro, che è al tempo stesso un asservimento, una fatica, ma anche una fonte d'interesse, un elemento di equilibrio, e un fattore di integrazione alla società. Questa ambiguità si riflette nella pensione, che si può considerare come una specie di grande vacanza, o come una caduta tra gli scarti». Ci rifletto sul pensionamento perché ci sono arrivato anch'io, dopo 42 anni di "marchette" (le prime nel 1976) ed ho lasciato la "Rai Valle d'Aosta", dove - non fossi stato in aspettativa politica - avrei potuto ancora lavorare qualche anno. Ma l'azienda preferisce liberarsi di chi è più anziano e più costoso per via dei vecchi contratti. Certo che mi fa impressione pensando a quel pischello che fui quando cominciai a fare il giornalista, prima inquadrato come "lavoratore dello spettacolo" in una radio ed in una televisione privata, felice di prendere i primi stipendi che mi rendevano autonomo e poi il grande balzo - era il 22 febbraio del 1980 - alla "Rai" di Aosta. Venni accolto da due personalità della "vecchia" Rai: il direttore Roberto Costa, galantuomo milanese di grande spessore culturale ed il caporedattore Mario Pogliotti, grande giornalista ed artista eclettico. Erano loro, dirigenti titolati e non raccomandati, gli incaricati di fare da chiocce alla nascita della televisione regionale sulla scia di quella "Voix de la Vallée" accesa prima a Torino e poi ad Aosta negli anni Sessanta. Ero entrato in quegli studi radiofonici meravigliosi della vecchia sede di via Chambéry come studente ginnasiale pochi anni prima, durante una manifestazione di protesta per spiegarne le ragioni. Mi intervistò una delle voci della "Voix", Daniele Amedeo, che pochi anni dopo mi ritrovai come caposervizio al medesimo microfono. Furono anni straordinari con grandi soddisfazioni professionali con la conduzione del telegiornale e tanti servizi radio e televisivi per il nazionale. Pensavo che quello sarebbe stato il mio lavoro esclusivo, ma poi - altra storia - entrai inaspettatamente in politica, e per 22 anni sono stato in aspettativa. Nel 2009, con la sede spostata a Saint-Christophe, tornai come responsabile dei Programmi sino al nuovo incarico politico dell'autunno scorso. Ora lascio per sempre e con dispiacere, anche se - come ho sempre fatto - non mollo la voglia di raccontare, che è nel mio animo di giornalista. Pensionato. Brrrr...