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31 dic 2020

Il Parlamento sfregiato

di Luciano Caveri

La pandemia ha accentuato il degrado delle Istituzioni democratiche in Italia. Per una volta non mi riferisco al regionalismo umiliato dal centralismo statale, basato sul paradosso che ogni colpa viene sistematicamente messa sulle spalle delle Regioni da un Governo Conte che in realtà ha scardinato ogni forma di leale collaborazione, come ben sa la piccola Valle d'Aosta attaccata alla Corte Costituzionale. Ma il Governo nazionale - ecco il punto - sta scardinando il sistema parlamentare, cuore della democrazia. Lo ha ricordato su "La Repubblica" il costituzionalista Michele Ainis, scrivendo del voto sulla legge di bilancio: «"Un coacervo di misure senza disegno", così l'ha definita l'Ufficio parlamentare di bilancio. Infatti c'è dentro un po' di tutto, dal bonus rubinetti al finanziamento di un master in Medicina termale».

L'inizio opportunamente ruvido così prosegue: «Né più né meno del decreto Milleproroghe, licenziato il 23 dicembre dal Consiglio dei ministri. Dove s'affastellano oggetti normativi della più varia risma, dal blocco degli sfratti alle celebrazioni ovidiane, dallo smart working ai "Cinema bond" emessi dall'Istituto Luce. E' la cifra del diritto nella patria del diritto: lenzuolate di norme sconnesse l'una all'altra, scritte in un linguaggio arcano, mutevoli come gli umori d'un fanciullo». Troppi silenzi, anche dal Quirinale, avvolgono questo degrado crescente. Aggiunge Ainis: «Accade da tempo, ma il covid ha accentuato la tendenza. Perché in nome dell'emergenza sanitaria ogni autorità costituita - locale, regionale, nazionale - dispensa in lungo e in largo i propri editti, senza mai curarsi del quadro complessivo. Perché quest'emorragia di norme e di decreti scorre per lo più al di fuori delle procedure stabilite, ferendo il senso della legalità, se non anche il buon senso. E perché dunque genera tossine fra le stesse istituzioni, nei loro reciproci rapporti. E' il caso, per l'appunto, della legge di bilancio. Dopo il timbro finale della Camera, ai senatori rimangono soltanto quattro giorni per esaminarne a loro volta il testo, discuterlo, emendarlo. Troppo poco, specie per una legge di 229 articoli, sette allegati, quindici tabelle. Sicché dovranno votarla ad occhi chiusi (e con la fiducia puntata come una rivoltella sulla tempia), altrimenti s'aprirebbe l'esercizio provvisorio del bilancio. Tuttavia quest'ultima è pur sempre un'eventualità regolata dalla Costituzione (articolo 81), mentre il sequestro del Senato no, non è previsto. Né viene autorizzata in alcun modo la confisca dei poteri spettanti al capo dello Stato. Lui avrebbe un mese di tempo per la promulgazione delle leggi (articolo 73), dunque per controllarne la legittimità costituzionale. Ma se il bilancio dello Stato gli arriva sotto al naso l'ultimo minuto dell'ultimo giorno utile, al presidente viene concesso soltanto uno starnuto. Insomma, il Palazzo ha l'orologio rotto. Quando c'è da rispettare una scadenza, scade il rispetto delle competenze altrui». Ma Ainis spiega, come ha già fatto molte volte in buona compagnia di tanti costituzionalisti, che questo stravolgimento delle regole non è cosa nuova: «Succede, d'altronde, anche sui decreti legge. Qui il termine per la loro conversione è di sessanta giorni, ma il ramo del Parlamento che ne avvia l'esame finisce per rosicchiarli tutti. Sicché il nostro bicameralismo perfetto funziona in modo imperfetto: una Camera istruisce, l'altra delibera. E siccome ormai si governa esclusivamente per decreto, siccome i decreti piovono l'uno addosso all'altro come i coriandoli di Carnevale, per smaltire il traffico s'usano soluzioni bizantine. Com'è avvenuto con i "decreti Ristori", via via adottati per risarcire le categorie danneggiate dal lockdown. Durante l'esame parlamentare, infatti, il secondo decreto è divenuto un emendamento al primo, il terzo e il quarto si sono trasformati in un subemendamento, deputati e senatori hanno emendato i subemendamenti, mentre gli uffici delle Camere chiedevano soccorso a uno psichiatra». Ciò avviene in un silenzio assordante delle forze politiche, come se la pandemia sterilizzasse regole basilari dettate dalla Costituzione. Conclude Ainis con grande lucidità: «E a proposito dei decreti legge. La Costituzione (articolo 77) ne permette l'adozione soltanto "in casi straordinari di necessità e d'urgenza". Ma in questa legislatura, segnata dai due governi Conte, abbiamo sperimentato quindici decreti abrogati da altrettanti decreti. In altre parole, era urgente adottarli, era urgente cancellarli. L'ossimoro, ecco la nuova fonte del diritto. Ma è una contraddizione in sé pure l'approvazione dei decreti in Consiglio dei ministri "salvo intese", perché ne rinvia l'entrata in vigore, smentendo perciò l'urgenza che dovrebbe costituirne il presupposto. Eppure succede di continuo: anche l'ultimo "Milleproroghe" è figlio di quest'approvazione disapprovante, attraverso intese che spesso vengono fraintese. Si dirà che ormai è la prassi, è il nuovo costume normativo. Ma la ripetizione d'un delitto non trasforma il reo in un santo, semmai in un serial killer». Poi mi ritrovo a sentirmi ramanzine di chi in pubblico ed in privato mi rimprovera di essere troppo severo con Giuseppe Conte e con il suo Governo. Come diceva Totò: «ma mi faccia il piacere!».