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15 dic 2020

Il parallelo fra noMes e noVax

di Luciano Caveri

Claudio Cerasa, direttore de "Il Foglio", dimostra sempre una grande lucidità e sappiamo quanto ragionare serva in questa nostra vita quotidiana, in cui siamo concentrati sull'epidemia e invece dobbiamo tenerci svegli nell'analisi su quanto avviene. Personalmente odio il conformismo delle idee e mi spaventano sempre e comunque quelli che vedono il mondo con gli occhiali della loro ideologia. Tuttavia, qualche punto fermo esiste. Cerasa così esordisce a sorpresa: «C'è un'insospettabile simmetria tra due storie molto importanti legate all'attualità e apparentemente distinte l'una dall'altra. La prima storia ha a che fare con il futuro dei vaccini, la seconda con il futuro del Mes. Si dirà: e che c'azzeccano queste due storie? C'azzeccano nella misura in cui mai come oggi risulta piuttosto chiaro quanto il futuro dei vaccini e il futuro del Mes siano direttamente collegati con una delle eredità più tossiche del populismo moderno: la cultura complottista. C'è la cultura complottista dietro ai sospetti incrociati che mettono a rischio l'ok alla riforma del Fondo salva stati e c'è la cultura complottista dietro ai no, altrettanto incomprensibili, ai vaccini che ci salveranno dalla pandemia».

Sul "Mes", come sulla "Tav", sul "Tap" e sull'"Ilva" di Taranto i "grillini" hanno calato le braghe, perché vogliono restare al Governo e se si mette insieme il crollo elettorale e la riduzione dei parlamentari la gran parte dei "pentastellati", in caso di elezioni anticipate, tornerebbero a casa. Ma il ragionamento di Cerasa resta intatto per quanto ha inquinato i pozzi: «Nel primo caso lo schema è chiaro: l'Europa è brutta e cattiva e non aspetta altro che infilarsi come un orrendo Gremlin nelle viscere dei nostri paesi. Nel secondo caso lo schema è altrettanto chiaro: i vaccini ci salveranno, ok, questo lo dice lei, ma dato che da anni ci sono fior di politici, fior di osservatori, fior di commentatori e fior di opinionisti che litigano su quanto siano efficaci i vaccini, oggi, avere qualche dubbio basato sul nulla, se non sul chiacchiericcio di qualche blogger, è più legittimo. Il formidabile deep state italiano, ovvero quell'insieme di prassi, di regole, di consuetudini, di vincoli e di privilegi che alla lunga trasformano in docili difensori delle istituzioni anche i più irrequieti tra i moderni indignati, ha dimostrato in questi mesi di poter raddrizzare, nello spazio breve di una crisi di governo, il legno storto del populismo. Ma ciò che spesso si fa fatica a considerare rispetto agli effetti generati dalla diffusione delle dottrine anticasta è l'eredità tossica, e a lungo termine, che porta con sé la cultura populista. E non ci vuole molto a capire che convertire un populista in Parlamento è un'operazione mille volte più complicata che far cambiar verso al vortice velenoso dell'ideologia complottista, allontanando cioè dalla testa dei cittadini i mille dubbi spesso senza senso alimentati dalla casta degli anticasta semplicemente per creare zizzania e sperimentare nuove frontiere nella ricerca del consenso: la delegittimazione sistematica della tribù degli esperti. Nella stagione della pandemia, molti esperti, sedotti dal fascino della visibilità in prima serata e da alcuni buoni contratti con le case editrici, si sono lasciati trascinare nella lotta nel fango con altri esperti e hanno contribuito, in modo certamente più doloso che colposo, a rafforzare l'immagine della scienza indecisa, divisa, frantumata, incapace di offrire risposte univoche e unitarie. La volontà di creare a tutti i costi un grado minimo di zizzania tra gli esperti non è conseguenza solo degli ego ipertrofici di alcuni esperti ma è prima di tutto conseguenza di un canone mediatico figlio della stagione no vax: dimostrare che le certezze della scienza sono scalfibili a tal punto che non fa molta differenza parlare di vaccini prendendo lezioni da uno scienziato o da un Diego Fusaro. L'uno vale uno portato in politica dagli stessi populisti impegnati ora a dimostrare che uno col cavolo che vale uno (grazie al cielo, il M5s non chiederà ai suoi iscritti se votare sì o no alla riforma del Mes, perché uno vale uno solo in campagna elettorale) è entrato purtroppo nella nostra quotidianità con la stessa forza di un virus e in questo senso le partite della riforma del Mes e della campagna sui vaccini per quanto siano apparentemente distanti tra loro in realtà sono molto collegate». Sul "Mes" i "grillini" hanno votato su un testo acqua fresca e poi chissà quali storie inventeranno per rinnegare il voto di ieri. Sul secondo punto Cerasa resta limpido: «Nel caso dei vaccini, la campagna di vaccinazione di massa che verrà portata avanti dalla classe dirigente italiana - ci auguriamo un secondo dopo che l'Ema autorizzi il vaccino nell'Unione europea e l'Aifa in Italia, cosa che secondo il ministero della Salute potrebbe accadere intorno al 7 di gennaio - sarà un test importante non solo per vaccinare la popolazione contro il covid -19 ma anche per dimostrare in modo plastico che ogni volta che il nostro paese si trova a scegliere tra le sirene del complottismo anticasta e quelle della scienza globale alla fine il nostro paese sa perfettamente da che parte stare. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, chiacchierando con il Foglio arriva a dire che sarebbe "un sogno se l'Europa, tutta insieme, scegliesse un giorno per far partire, senza distinzioni tra paesi, la campagna di vaccinazione". L'idea ci sembra ottima ma accanto a questa idea ce n'è un'altra che la nostra classe politica dovrebbe considerare: il giorno in cui i vaccini saranno disponibili, i leader dei principali partiti italiani avranno l'intelligenza o no di farsi una telefonata, di mettere da parte i litigi e di farsi fotografare tutti insieme in diretta tv mentre si fanno vaccinare contro il covid-19? Per combattere la cultura dell'uno vale uno e proteggere il paese dalle sirene del complottismo volendo si può partire anche da qui». Io mi vaccinerò appena possibile e lo dirò dappertutto contro l'incultura degli antivaccinisti.