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23 set 2020

Silenzio elettorale

di Luciano Caveri

No, non farò propaganda elettorale dopo la mezzanotte di ieri. Lascio il materiale precedentemente pubblicato, ma mi atterrò alle regole, com'è giusto che sia. Già con tanti candidati regionali e comunali a martellare abbiamo affaticato i cittadini ed è bene che ci sia il silenzio elettorale, per quanto anche questa volta sarà... rumoroso per assenza reale di contromisure per i fracassoni. L'esperienza, anche per chi l'ha già fatta molto volte, è stata utile per almeno due ragioni. La prima con molte persone in una campagna elettorale basata più del solito sul dialogo diretto. Ciò ha permesso di avere percezione di problemi, punti di vista, speranze, preoccupazioni. Questo è uno degli aspetti importanti della Politica: prendere il polso della società in cui si vive per evitare di trovarsi prigionieri delle proprie convinzioni.

Spesso la distanza fra elettori ed eletti si allarga nel tempo proprio per il rischio di non capire quanto avviene fuori dal Palazzo. Ricordo come questa espressione "Palazzo" si deve a Pierpaolo Pasolini che la coniò nel 1975 in riferimento a ciò che accade all'interno della politica, delle stanze del potere. Leggerne un passaggio vuol dire ricordare la temperie di quegli anni in cui ero ragazzo: «Indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, convivenza con la mafia, alto tradimento in favore di nazione straniera, collaborazione con la "Cia", uso illecito di enti come il "Sid", responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna, distruzione paesaggistica ed urbanistica dell'Italia, responsabilità nella degradazione antropologica degli italiani, responsabilità della condizione paurosa delle scuole, degli ospedali e di ogni opera pubblica primaria, responsabilità dell'abbandono selvaggio delle campagne, responsabilità dell'esplosione selvaggia della cultura di massa e dei mass media, responsabilità della stupidità delittuosa della televisione, responsabilità del decadimento della Chiesa, e infine, magari oltre a tutto il resto, distribuzione borbonica di cariche pubbliche ad adulatori». La seconda sta in parte nello stesso solco e riguarda proprio il senso di sfiducia dei valdostani. Certo il "covid-19" non aiuta per quel senso immanente di rischio che si somma alle conseguenze economiche e sociali, ma già esisteva un senso di ribrezzo verso una politica considerata, senza troppi distinguo, come incapace e imbelle. Uscire da questa palude per spiegare le proprie ragioni non è semplice e in molto butteranno via il voto, inseguendo il "bla bla" di leader nazionali destinati al tramonto o non andranno a votare in una logica perdente. Resta valido quanto scriveva Norberto Bobbio già tanti anni fa, quando diceva che la democrazia si realizza nella pratica democratica di cittadini attivi. Ma lo stesso politologo e filosofo torinese annotava come nelle democrazie più avanzate si assista tuttavia all'apatia elettorale di cittadini sempre più passivi, e alla pratica del voto di scambio, orientato agli interessi particolari garantiti, in luogo del voto di opinione, basato su una cultura politica e una più ampia educazione alla democrazia. Si aggiunge a questo l'astensionismo con l'aggravante, frutto delle ricerche sul fenomeno, del trionfo dell'apatia, prevalente rispetto alla protesta. Bobbio educatamente la chiamava «partecipazione manchevole», io la chiamerei «rinuncia a contare». Questo forse, anche da noi, è il lavoro non solo politico, ma anche culturale, da fare, qualunque sarà l'esito delle urne. Questa per me è una questione nodale. Esiste un analfabetismo crescente su temi che sono a fondamento del senso civico e della condivisione di elementi identitari. Credo che la Politica oggi come non mai sia formazione e approfondimento e non solo amministrazione per dare strumenti e nozioni che servano ad avere più coscienza e maggior conoscenza.