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21 giu 2020

La fantasia della Radio

di Luciano Caveri

Trovare degli spunti originali nel lavoro radiofonico estivo non è mai facile. A maggior ragione in un anno avaro di manifestazioni e certo si potrebbe discutere a lungo su parecchie soppressioni, forse frutto in Valle d'Aosta di un principio di precauzione dimenticato all'inizio della pandemia. Ci vorrebbe sempre "modus in rebus" per rendere attrattiva la Valle, certo evitando rischi, ma tenendo conto davvero dall'andamento dei contagi e soppesando le cose. Eppure l'estate resta, per la programmazione radiofonica di cui mi occupo in "Rai Vd'A", un momento interessante e creativo. Predico da sempre la straordinaria vitalità della Radio.

E' facile citare il famoso sociologo canadese Marshall McLuhan: «La radio, come qualunque altro medium, ha un suo manto che la rende invisibile. Ci si presenta apparentemente in una forma diretta e personale che è privata e intima, mentre per ciò che più conta è una subliminale stanza degli echi che ha il potere magico di toccare corde remote e dimenticate». Ma può essere anche, più terra a terra, ad esprimersi uno straordinario camaleonte radiofonico, come Fiorello: «L'altro giorno guardavo la radio. La ascoltavo e la guardavo... la manopola, le luci... Che figata! Quante emozioni può suscitare una scatola nera, apparentemente insignificante. 'Sta cosa mi affascina, mi stimola il pensiero: quando ascolto ciò che esce da quella scatola immagino ciò che mi stanno dicendo, la faccia di quello che sta parlando, la sua espressione. Tornerò in radio, perché è un'espressione di totale libertà. In tutti i sensi. Io ho fatto programmi radiofonici senza pantaloncini, in mutande, e nessuno ha potuto dirmi niente. In radio puoi lavorare di fantasia e soprattutto far lavorare di fantasia chi ti ascolta». Personalmente mi rivedo la notte, poco più che bambino, a cercare su di un'enorme radio "Radio Luxembourg" o la magia del microfono a "Radio Saint-Vincent" da ragazzo e poi l'escalation di "Radio Reporter" di Torino, tremebondo al momento del provino in uno studio che mi sembrava spaziale, per approdare infine negli studi meravigliosi della "Rai" di via Chambéry ad Aosta. Ricordo certe sere, solo nello studio nel silenzio irreale di quelle scatole in legno che erano le strutture d'antan con le luci basse, in attesa di andare in diretta sul "Gr" nazionale per qualche evento valdostano che assurgeva nelle cronache italiane. Sono momenti irripetibili, ma ancora oggi, quando vai in onda e schiacci il tasto per cominciare a parlare è come un legame magico che cavalca le onde radio verso chi ti ascolta. Ed ogni volta, nella parte creativa che mi è propria quando scelgo serie da costruire, mi metto lì, con un lavoro che resta artigianale e che poco ha che fare con i grandi staff che lavorano altrove, a costruire storie e ad ascoltare interlocutori, sapendo come la parola non possa essere mai dissociata dalla musica giusta. E da un elemento imprescindibile, che mi accompagna da sempre, quello di avere il coraggio di andare a braccio. Che ciò avvenga con appunti o seguendo un filo mentale come un equilibrista sul filo poco importa: quel che è certo è come la spontaneità (e ciò vale a maggior ragione per l'oratore di fronte ad un pubblico) paghi, sempre a condizione di conoscere o di aver studiato l'argomento. Altrimenti sono solo parole al vento o alla tentazione crescente di programmi fatti solo ascoltando il pubblico, che pure sono comprensibili, ma la Radio è anzitutto quel che tu stesso sei in grado di dare. Così di questi tempi, per il ciclo in corso, ho scelto un fil rouge fatto di verbi: ho cominciato con "cantare", poi "leggere", oggi sarà "interiorizzare", domani "giocare", dopodomani "viaggiare" e chiuderò la settimana - aspettando i verbi che verranno da qui a metà luglio - con "curiosare". In fondo questa curiosità penso sia una delle chiavi di lettura di chi decide di fare il giornalista, che sia raccontare la dinamica e gli esiti di un incidente e di un soccorso in montagna oppure intervistare una persona di cui vuoi scoprire gli aspetti più significativi, che sia un racconto dei luoghi belli da visitare o una spiegazione di qualche cosa che dev'essere disvelato. Ma la Radio resta la potenza della parola. Il padre della psicoanalisi Sigmund Freud osservava: «Le parole erano originariamente incantesimi, e la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice un altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l'insegnante trasmette il suo sapere agli studenti, con le parole l'oratore trascina l'uditorio con sé e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo generale con cui gli uomini si influenzano reciprocamente». E la Radio amplifica tutto questo nella nudità delle voci.