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04 giu 2020

Prepararsi agli ingorghi estivi

di Luciano Caveri

Le vacanze sono ancora un grande punto interrogativo in questo sciagurato 2020 e diciamolo papale papale, contro la retorica melensa sulle difficoltà che fortificano e che rendono migliori. Appartengo alla categoria delle persone che prevedono cosa fare con mesi di anticipo per la destinazione marina che considero indispensabile per chi vive tutto l'anno in montagna, mentre questa volta sarò - sempre che non ci siano regole così rigide da stravolgere ogni ragionevole soggiorno - della linea "last minute". Ma naturalmente la "soluzione B" è che le vacanze siano esclusivamente domestiche e penso che in Valle d'Aosta ci siano molte cose da fare, anche negli scenari più complicati. Non dico il peggiore, perché quello sarebbe di nuovo il confinamento. Tuttavia, non nego che emerga all'orizzonte, nei periodi più classici del turismo fra luglio e agosto, un problema serio di accesso alla montagna, come possibile scelta privilegiata per molti vacanzieri, compresi i pendolari che la mattina decidano di spostarsi dalle città verso le montagne. Nel senso che immagino che ci si troverà, pur con dei diversi gradienti di intensità, di fronte ad un vero e proprio assalto, che potrebbe assumere caratteristiche di una vera e propria invasione.

Sarà pur vero che i polmoni di zone visitabili dai turisti più stanziali che di quelli "mordi e fuggi" sono molti, ma è altrettanto vero come esistano località che già nel cuore dell'estate sono mete affollatissime, e questo contraddice certe norme sulla distanziamento che saranno in vigore di sicuro nelle settimane a venire. Leggevo su "Il Manifesto" un articolo sul tema, firmato da un esperto di problemi della montagna, Maurizio Dematteis, che si è confrontato con Marco Aime, che lo stesso giornalista così presenta: «Marco Aime prima di essere un autorevole antropologo culturale e specialista di dinamiche di turismo responsabile è un amante della montagna in tutti i suoi aspetti. Vive a Torino, metropoli alpina circondata da 400 chilometri di montagne, e lavora all'Università di Genova, città di montanari con i piedi nell'acqua». Prosegue poi Dematteis: «Gli abbiamo chiesto di riflettere con noi sull'attuale dibattito che vede la montagna estiva come una delle possibili mete delle vacanze degli italiani. Tra incertezze, paure e la speranza che le terre alte possano ricordarci il perduto senso del limite». L'incipit evidenzia l'approccio ambientalista, che lo stesso autore dell'articolo dimostra con chiarezza nel sito molto interessante che dirige, che si chiama "Dislivelli". Scorrendo gli articoli che si trovano si può non essere sempre d'accordo, ma nessuno può discutere la trasparenza delle idee e la chiarezza delle intenzioni. La prima domanda è stata questa: «Che impatto ha avuto l'emergenza "covid-19" sulla montagna?». Così Aime: «Ha avuto un impatto piuttosto pesante su alcune zone montane. Quando sono state chiuse le scuole molte famiglie sono andate a sciare in montagna. Alcuni amici alto atesini mi hanno raccontato di come dalla Lombardia molte persone si siano precipitate in Alto Adige, in Val Gardena o Val di Fassa. Il risultato è stato che ancora oggi il contagio nelle valli dolomitiche è più alto di quello delle città di Trento e Bolzano. Sono valli a forte vocazione turistica e per l'estate si rischia che alberghi, rifugi e ristoranti possano aprire solo parzialmente e con numeri limitati. L'indotto rischia di risentirne parecchio». Altrettanta chiarezza sulla prossima stagione estiva, direi in linea con quanto da me premesso: «Il turismo delle grosse concentrazioni, delle masse, è sicuramente quello che quest'estate risentirà di più, e la montagna verrà preferita al mare. Ci sono almeno due motivi che spingeranno i turisti a preferirla: il primo è un'immagine di purezza, salute, incontaminazione, che farà sì che molte persone decideranno di salire in quota. La seconda è che la montagna offre ampi spazi, con la possibilità di evitare concentrazioni in luoghi ristretti: si può camminare sui sentieri, ognuno con il proprio passo, e svolgere molte altre attività outdoor riuscendo a mantenere le distanze di sicurezza. L'emergenza del "covid-19" potrebbe premiare un certo tipo di turismo montano soft. Bisogna poi vedere come riusciranno ad organizzarsi rifugi e realtà ricettive». Più avanti, sempre sollecitato acutamente da Dematteis, aggiunge Aime: «Quest'anno saranno poche le persone che andranno a fare le vacanze all'estero e gli stranieri non verranno in Italia. Per questo motivo ci sarà la rivalutazione di un turismo casalingo, di prossimità, che prima veniva un po' snobbato e trascurato a vantaggio di altre mete lontane, ma che oggi, gioco forza, ce lo si fa piacere. E magari poi scopriremo persino che non è così male. Non parlo del "modello Sestrière", pratica turistica in gran parte superata, che fa parte della visione degli anni '60, in un'epoca in cui tutti volevano avere l'auto e uniformarsi al turismo di massa. Oggi il turismo montano in ascesa è un altro. Col passare del tempo è nata una sensibilità diversa, la ricerca di ambienti più incontaminati, di cibo tradizionale, la ricerca di un turismo di qualità che abbia un qualche legame con il territorio e non riproponga il condominio urbano in quota, con lo stesso modello di vita della città. Oggi, in questa situazione mutata, queste forme di turismo più artigianali potrebbero ritrovare un valore». Vorrei aggiungere che penso anch'io che la vicenda "coronavirus" sia una chance da sfruttare per un turismo alpino oggettivamente in calo, se si pensa alle stagioni d'oro di tanti anni fa. Che si debba ripensare alla modellistica è giusto e trovo che in Valle d'Aosta ci siano molti esempi di nuove proposte che possono ridare fiato al turismo. Ma intanto ci troveremo di fronte ai rischi di affollamento ed Aime così dice: «In montagna ci sono alcuni luoghi ultra sfruttati, belli e facilmente accessibili, dove si arriva in automobile o con camminate brevi, e dove nei weekend estivi si rischia di trovare le folle di turisti, cosa che quest'anno sarà sicuramente da evitare. Per questi luoghi bisogna prevedere qualche forma di limitazione, un numero chiuso. Sono delle soluzioni sgradevoli, ma è l'unico modo per evitare di ricadere nuovamente in una situazione sanitaria emergenziale». Chi mi conosce sa bene quanto io sia libertario e abbia sempre diffidato di logiche di chiusura della montagna, ma questa volta concordo e trovo che si debba ragionare per tempo per non farsi assaltare e ogni forma di prevenzione, prima che scelte di repressione con forestali con paletta che fanno fare retromarcia alle famigliole in macchina, passano attraverso una buona comunicazione, che nel nostro caso può essere facilitata dagli accessi automobilistici ai caselli autostradali e all'ingresso della vallate. Penso, ad abundantiam, al rischio dell'esplosione del fenomeno dei camper e al fatto che bisogna a tutti costi un assalto selvaggio con questi automezzi. Aggiunge in conclusione Aime: «La situazione in cui ci ha gettato il "covid-19" fa riflettere sulle troppe cose che davamo per scontate e che scontate non sono. L'idea che tutto sia disponibile, che si possa andare dove si vuole e quando si vuole, in realtà non vale più. Ad esempio avere una seconda casa di proprietà in montagna non significa che ci si possa andare quando si vuole. Perché la sicurezza collettiva è più importante delle esigenze del singolo. Prima viene la tutela di chi vive la montagna e poi il diritto di chi deve andarci per piacere e divertimento. Ci sono delle priorità». Sono temi complessi e molto delicati, che riguardano anche il rapporto che deve intercorrere fra noi montanari e i turisti. Ricordo lo "stop and go" all'inizio del "covid-19", in cui si è passati dal «venite turisti in Valle d'Aosta!» ad un atteggiamento opposto, quando - poco tempo dopo - la presenza del turista rimasto in Valle dopo Carnevale sembrava una sorta di caccia all'untore da parte dei residenti. Per evitare analoghi paradossi sarebbe bene pensarci prima.