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02 giu 2020

Sindromi manzoniane parte due

di Luciano Caveri

A furor di popolo sono stato chiamato a parlare di nuovo sulle intelligenti e acute osservazione di Stefano Albertini, docente universitario negli Stati Uniti, sul sito "La Voce di New York", che ha scritto un articolo intitolato "Vengono da Manzoni le nuove sindromi psico-caratteriali da coronavirus". Di Don Ferrante e del Conte Zio ho già detto, ma ne restano altri e come si fa a non evocare le sindromi di Don Rodrigo, di Fra Cristoforo, e di Don Abbondio? Sono anch'esse tipologie immortali dei caratteri umani. Ai tempi della scuola «il Manzoni»" e i suoi "Promessi Sposi" apparivano come in obbligo e dunque riscuotevano scarso interesse. Con il senno di poi quel bagaglio culturale torna utile per quel tratteggio manzoniano che rende quei personaggi valido in ogni tempo.

Così la "Sindrome di Don Rodrigo" viene illustrata: «Di Don Rodrigo, il cattivo del romanzo, Manzoni ci dice che, durante la pestilenza, passava il tempo con "amici soliti a straviziare insieme, per passar la malinconia di quel tempo" (cap. 33). E' il gaudente impenitente che esorcizza la paura con il vino e la crapula. Sono severamente affetti da "sindrome di Don Rodrigo" i fighetti milanesi che hanno affollato i navigli nelle precedenti settimane e i dabben giovani che hanno riempito le piazze e i bar di tutta Italia sbevazzando spritz e aperitivi, spiattellandoli su "Instagram", fino a quando non è stato espressamente proibito dalle autorità, anche se era stato già vivamente sconsigliato dai sanitari. Non si sa se per effettiva guarigione degli individui affetti o come conseguenza delle misure restrittive, ma fortunatamente la "sindrome di Don Rodrigo" è quasi scomparsa oggi in Italia». La "fase 2", sopravvenuta dopo queste osservazioni, rende il quadro meno ottimistico, perché si assiste a fenomeni inquietanti e persino sprezzanti di "rompete le righe". Ad eccessi di prudenza, di cui la scuola soffre, si mischiano comportamenti quasi goliardici. Si dice "movida", con termine distorto, visto che l'originale designava la vitalità della Spagna del post dittatura. Ma, per fortuna, esiste anche la "Sindrome su Fra Cristoforo": «Quella di Fra Cristoforo non è una sindrome e non è una patologia, è piuttosto un archetipo, cioè un modello, un esemplare. Il personaggio manzoniano, forse basato su un personaggio storico realmente esistito (Fra Cristoforo Picenardi da Cremona), rappresenta la dignità, il coraggio, l'eroismo cristiano. Dopo una giovinezza di agi conclusa da un duello per futili motivi in cui uccide l'avversario, Ludovico si fa frate cappuccino e dedica la sua intera vita ad aiutare, confortare, sostenere i poveri che incontra sul suo cammino. Morirà prendendosi cura degli appestati del lazzaretto di Milano. Senza ironia e senza retorica, direi che Fra Cristoforo rappresenta il modello per tutte le infermiere, gli infermieri, gli operatori sanitari e i medici che stanno facendo fronte all'epidemia di "coronavirus" con turni massacranti, settimane di isolamento volontario ed un livello di rischio altissimo nonostante le misure di protezione. A loro va la nostra ammirazione e la nostra gratitudine. E Manzoni sarebbe d'accordo». Ne ho intervistato molti nella mia trasmissione radiofonica sul "coronavirus" e confermo stima e riconoscenza per chi, spesso a fronte di una politica distratta, ha sfidato la pandemia con impegno e forza. Infine, non si può dimenticare Don Abbondio: «Il curato fifone è l'ecclesiastico che sta agli antipodi di Fra Cristoforo. Il suo rifiuto di celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia, per paura di rappresaglie da parte di Don Rodrigo, è l'inizio di tutte le disavventure della giovane coppia. La paura è la condizione esistenziale di Don Abbondio: ha paura delle minacce dei bravi, ha paura dell'ira di Renzo, ha paura del rimprovero del Cardinale, ha paura del contagio della peste. Le sue paure si trasformano spesso in fobia, "pauraccia" la chiama Manzoni. La paura di per sé è una reazione normale e umana ad un pericolo imminente, ed è spesso indispensabile per far scattare l'istinto di sopravvivenza. Per fare un esempio di oggi, se la paura del contagio da "coronavirus" ci spinge a stare in casa, è saggia consigliera e va ascoltata. Ma la "pauraccia" (o fobia) di Don Abbondio lo spinge a prendere decisioni egoistiche e irrazionali, che spesso comportano conseguenze disastrose per gli altri. Gli effetti da "sindrome di Don Abbondio" nell'attuale situazione di emergenza possono essere identificati tra gli accumulatori compulsivi ("hoarders") che ritroviamo in fila nei supermercati coi carrelli straripanti di carta igienica e bottiglie d'acqua, due generi che non hanno nessun legame specifico con l'epidemia da "coronavirus". Tutti ormai sanno, anche gli affetti da "sindrome di Don Abbondio", che dissenteria e diarrea sono sintomi del colera, ma non del "covid-19", e tutti sappiamo che l'acqua delle città italiane è controllatissima, sicura, spesso buona da bere e può tranquillamente sostituire quella in bottiglia. Le "pauracce" e le fobie ,però, a differenza della paura, causano comportamenti egoistici che danneggiano gli altri. Come il pavido rifiuto di Don Abbondio di celebrare il matrimonio è la causa diretta di tutte le sventure dei fidanzati, l'accumulazione insensata di merce nei supermercati fa sì che gli altri ne restino completamente sprovvisti». Di Don Abbondio ne abbiamo visti tanti, sia nella politica italiana che in quella valdostana: «Il coraggio, uno, se non ce l'ha, mica se lo può dare», dice Manzoni.