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01 giu 2020

Il trionfo della stupidità

di Luciano Caveri

Quando si legge un pamphlet, cioè uno scritto catalogabile in questa definizione per il suo tono polemico, lo si valuta per due aspetti: uno razionale e uno di pancia. Così è stato per me per il libro di Armad Farrachi "Il trionfo della stupidità" (titolo originale "Le Triomphe de la bêtise"), in cui miscelando cervello ed intestini sortisce quel che ci vuole con un libello di questo genere: una scossa elettrica, che vale per le parti condivise e per quelle sulle quali non si è d'accordo. Farrachi, intellettuale francese, classe 1949, è professore di Lettere e lo si vede dalle citazioni, è un ambientalista-animalista che scrive con tono ora iroso, ora brioso, ma certi suoi dubbi aprono un confronto con le proprie convinzioni.

Così nel cuore dei suoi ragionamenti sulla «stupidità ordinaria, banale, di fondo: mancanza di intelligenza, di ragionamento, di logica, di senso critico e di umorismo, difficoltà a stabilire collegamenti, cogliere le sottigliezze e andare oltre i pregiudizi, disturbo della comprensione, assenza di riferimenti dovuta all'incultura e all'ignoranza, incapacità di giudicare, riflettere, valutare una situazione e le sue conseguenze, goffaggine nell'espressione, pesantezza di spirito, propensione alla gaffe, alla confusione, perversione del gusto, improprietà varie, paralogismi, insomma ciò che viene anche chiamato, con un termine più sonoro ma più volgare: la coglionaggine. Certo, bisogna guardarsi bene dal giudicare stupido ciò che disapproviamo. Ma anche dal pretendere che tutte le opinioni si equivalgano. Stigmatizzare la stupidità, generalmente quella degli altri, significa conferirsi un brevetto di intelligenza, di acume, di arbitro del buon senso, autorizzarsi l'arroganza o il disprezzo, benché si è sempre, come è noto, l'imbecille di qualcuno. Ma le insufficienze dell'accusatore non scusano quelle dell'accusato». Bello pensare che ognuno di noi gioca questo ruolo di scovatore di stupidi, essendolo lui stesso in certe circostanze. Più avanti Ferrachi: «E poi il vantaggio della stupidità è che più si è stupidi e meno se ne è consapevoli. Ciascuno può quindi parlare senza pudore, che si tratti di me o di chiunque altro. L'argomento, molto vasto, è stato spesso trattato da autori di epoche diverse, e non dei meno importanti. E' trattato ancora oggi, sempre di più, e ci si chiede perché. Evidentemente non è stato esaurito, e l'intento qui non è quello di esaminarlo in ogni suo aspetto. Ciò che sembra nuovo nella storia della nostra civiltà non è tanto la stupidità in sé come forma di radicale inattitudine, né quella degli individui, anche se costituiscono la maggioranza e sono quindi più perentori nella loro stupidità e meglio equipaggiati per esprimerla e diffonderla, ma l'istupidimento del mondo preso nella sua evoluzione globale, nel suo destino, la stupidità a livello politico, quella di una società un tempo più illuminata che a poco a poco scema nella confusione mentale come il giorno scema poco a poco verso la notte». Il degrado, secondo l'autore può essere questo elenco: «mano a mano che il tempo passa, vediamo trionfare non soltanto la cupidigia voluta dall'economismo e incoraggiata da una propensione all'egoismo, ma anche e soprattutto una degradazione del pensiero, del linguaggio, del giudizio, l'imbruttimento delle città, delle campagne, della gente, l'infiacchimento dei costumi, una crescente piattezza delle opere dell'ingegno, evoluzione permessa dall'ignoranza, il conformismo, l'assenza di gusto, di criterio, di immaginazione, la mediocrità dei talenti, insomma tutto ciò che costituisce la stupidità, stupidità degli individui, più numerosi e più potenti, soprattutto se una democrazia quantitativa concede loro il potere, ma soprattutto stupidità dei dirigenti incolti, ignoranti della propria storia e della propria cultura, figli della televisione e della pubblicità, privi di riferimenti, immersi nel breve termine o nell'immediato, nel cieco o nell'impulsivo». Di fronte a sistemi educativi fallaci e al diffondersi dell'ignoranza Ferrachi vede un disegno: «L'ignoranza come strumento della stupidità non è quindi una défaillance del sistema educativo, ma un obiettivo. "Anche nella più libera delle costituzioni - diceva Condorcet - un popolo ignorante è schiavo". L'intelligenza è ridiventata sovversiva. Ma la stupidità conviene: conviene agli industriali, poiché mette a loro disposizione una clientela captive, cui si possono vendere prodotti che verrebbero disdegnati da consumatori più attenti. Conviene ai politici, che grazie a essa possono dirigere un popolo ai cui occhi bugie enormi riescono a passare per verità. Conviene ai giornalisti, messaggeri di una verità ufficiale. Conviene ai mediocri artisti che si sono avventati come cavallette e che potranno più facilmente essere presi per geni, come ci confermano le opere d'arte che ornano le rotatorie francesi o le scene teatrali che sfigurano capolavori con la scusa di "rivisitarli". E la tecnica, che in teoria dovrebbe fornire ali e strumenti alla nostra intelligenza, ha soprattutto contribuito a fabbricare altra stupidità. Quanto al culto del denaro cui sono votate da più di una generazione le nostre società di mercato, non conteremo certo su di lui per rialzare il livello». Sulla politica aggiunge in un altro passaggio: «La povertà delle idee, la forza degli slogan, la seduzione delle promesse, in una parola la demagogia convince necessariamente, e per definizione, più gente stupida che saggia, ed è dunque logico che le elezioni non portino al potere i più perspicaci ma quelli che più somigliano alla maggioranza, i più semplicisti, i più simpatici, i quali, contrariamente alle apparenze, spesso si rivelano non i migliori, ma i peggiori». Un libro da leggere, poi ognuno - come sempre avviene - può pensarla come vuole.