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28 mag 2020

Il mare

di Luciano Caveri

Quasi mi vergogno di scrivere di quanto mi manchi poter viaggiare. E per viaggio non intendo neppure luoghi lontani, ma anche brevi incursioni di prossimità. Il viaggio è come una fisarmonica che può estendersi ed accorciarsi. Per me vale la curiosità di visitare luoghi mai visti e pure di ritornare a vedere posti dove sono già stato, perché loro magari sono uguali, ma ad essere cambiato negli anni sono io. Odio la retorica patriottarda del turismo locale come inebriante soddisfazione. Conosco bene la Valle d'Aosta e capita ancora e spesso di trovare un posto, uno scorcio, un panorama ed anche delle persone che non avevo mai visto o frequentato. Ma puzza certa logica solo autarchica di chi, ogni estate, quando il settimanale "La Vallée" chiede a certi big che cosa facciano in vacanza pensano di piacere agli elettori, affermando garruli: «Qui, sempre qui, nel luogo natio!».

Invece, visto che coltiviamo una nostra personalità (per chi ci crede), è bello uscire da Pont-Saint-Martin o dai trafori e conoscere il mondo, vicino e lontano, perché ci insegna cose, ci arricchisce in cultura e umanità. Per cui questa estate 2020 sarà certo dedicata alla prossimità e ne godrò il più possibile, dopo la riconquista di piccole cose che davo per assodate e non lo erano, ma appena potrò voglio riprendere a scoprire ed a capire, prendendo la macchina, un treno, un aereo. Ma a chi mi chiede, in un gioco quasi di società che si recita con gli amici, che cosa mi manchi, allora non ho dubbio alcuno: il mare. Anzi, ad essere più preciso, "i mari", perché ho avuto la fortuna di vederne tanti e di buttarmici dentro ed esattamente come per le montagne dire "mare" vuol dir poco perché ognuno ha una sua personalità ed una sua natura. Ho avuto la fortuna di essere stato messo a mollo nel Mar Ligure che avevo sei mesi, quella Liguria da dove arrivano i Caveri e vi è nata pure mia mamma, e - pur sentendomi un nazionalista valdostano non giacobino e semmai cosmopolita - riconosco una necessità di contatto con il mare. Ho vissuto sensazioni in superficie e sott'acqua che mi tornano su nei ricordi, fattI di colori, odori, profumi, amori e amicizie, che mi fanno dispiacere di pensare che salterò quest'anno. Lo dico vergognandomi, pensando a chi ha sofferto ed a chi soffre, alla terribile malattia che incombe ed anche alla crescente povertà a causa della crisi economica, che rende ridicolo un pensiero vacanziero. Ma si vive anche di questo: di un mondo protettivo, fatto di preferenze ed affetti con cui abbiamo - ciascuno di noi diverso dagli altri - costruito un nostro castello di cose belle, che ci proteggono nei momenti difficili. Così il mare all'alba e al tramonto, fatto di sabbia e di roccia, di venti e risacca, di moli e porti, di nuotate e barche, di pesci e coralli. Una specie di luogo segreto per chi in gran parte dell'anno adora vivere in mezzo alle montagne e, quando ai trova a rientrare nella propria Valle, sente un battito al cuore, perché torna a casa sua, nel suo Paese. Ma quando mi è capitato di stare male e di avere brutti pensieri, mi venivano in mente due momenti marini di pace assoluta. Quando da piccolino con maschere e pinne andavo al largo di Porto Maurizio e scendevo in apnea verso fondali profondi e da laggiù guardano l'acqua resa luminosa in superficie dai raggi del sole e mi sentivo vivo come non mai, prima di risalire a tutta birra. Oppure, ma ero più piccolo, rovesciare il battellino in plastica, mettendomi sotto in quella situazione avvolgente con lo sciabordio dell'acqua, forse come un ritorno immaginario nell'utero materno. Il mare e i pensieri, in tempo di "coronavirus", che non sopravvive nell'acqua salata!